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Post aborto, il dolore della Ventura e la “libertà” della Sportiello
NEWS 20 Aprile 2024    di Paola Belletti

Post aborto, il dolore della Ventura e la “libertà” della Sportiello

In questa terza guerra mondiale a pezzi, un pezzo si combatte sulla maternità, o meglio sull’aborto. Un fronte in verità da lungo tempo infuocato che però conosce improvvise recrudescenze e nuovi investimenti “bellici”. Perdonerete l’azzardo di un accostamento improprio, ma anche in questo terreno di guerra sui generis si contano morti e feriti, si consumano lotte per il potere, si difendono enclave strategiche. E sul campo, come accade nelle guerre più classiche, restano tante, troppe vittime innocenti tra i civili, e sono donne e bambini.

Le reazioni concitate al limite dello sgangherato in risposta all’emendamento all’articolo 44 del Pnrr, proposto da un esponente di Fratelli d’Italia per permettere alle Regioni, nell’organizzare i servizi nei consultori, di «avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del terno settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno di maternità», ne sono ulteriore conferma. Al di là dei commenti giunti dal di là dei Pirenei, è nell’italica aiuola che ci fa tanto feroci che si consumano gli scontri più furiosi.

Tra le reazioni più significative e meritevoli di una riflessione spicca – anche per i toni decisamente urlati della protagonista – quella della deputata del Movimento 5 stelle, Gilda Sportiello. Ha preso la parola nell’aula di Montecitorio e, alzatasi in piedi, ha gridato tutto il suo sdegno per quella che ritiene un’indebita e violenta ingerenza dello Stato, per mano di questo governo, nella libertà sua e di tutte le donne di scegliere: «Siamo noi donne che scegliamo cosa vogliamo nella nostra vita, , se essere madri o non essere madri. Nessuno ce lo concede o ci dà l’opportunità. Vi dovreste solo vergognare! Sono madre, ho scelto di essere madre”, dirà nel suo intervento “quattordici anni fa, ho scelto di abortire».

Parla anche di gambe che tremano alla sola parola aborto: non me ne intendo, ma esiste un fenomeno di proiezione psicologica che non dovremmo escludere a priori. Di chi sono le gambe di cui parla? Gilda Sportiello è anche stata la prima parlamentare, nel giugno del 2023, a godere della possibilità di allattare il proprio bambino di pochi mesi tra i banchi di quella stessa aula e lo ha fatto con tutta la normale dolcezza e quel velo di pudore tipico delle madri che si trovano a nutrire il proprio bambino ovunque si trovino, perché i suoi bisogni non sono procrastinabili e sono sempre dell’ordine di quelli primari. Ha fatto bene, accidenti.

La trovo sincera: sia mentre si china sul piccolo Federico e gli fa schermo con i suoi capelli sciolti mentre lui pacifico si gusta il pasto e il calore della mamma, sia adesso mentre urla a squarciagola il suo sdegno e si erge (non richiesta, a dire il vero) a paladina dei diritti di tutte le donne. Vuole, esige che nessuna donna provi più dolore, vergogna e senso di colpa per il fatto che ha deciso di abortire. Colpa dello stato, o meglio di questo governo che a suo dire tradisce quel patto di alleanza e protezione che invece deve mantenere nei confronti delle donne che devono poter esercitare il diritto all’aborto (che nemmeno la 194 sancisce come tale): «Ho voluto spezzare una narrazione, un racconto tossico che vuole colpevolizzare le donne che abortiscono e farle vivere nella vergogna», commenta su La Stampa.

Sincera, però, non significa autentica. Senza invadere il suo personale vissuto è legittimo ritenere che a urlare dentro di lei non sia tanto il monito di chi le ha fatto notare che “si è voluta divertire” e non ha avuto poi il coraggio di tenere quel bambino; intervento di una bassezza davvero squisita, non c’è dubbio. E’ molto più credibile che sia la irriducibile certezza che quel bambino poteva avere una vita unica e irripetibile – bella, brutta, banale o eroica, non cambia – e invece non c’è più. E lo ha deciso lei, lo rivendica con tanta enfasi. Sono innumerevoli le testimonianze di altre donne che, quando trovano il coraggio o quando abbandonano una posizione simile alla sua, raccontano il dolore persistente e inestinguibile che provano dal giorno in cui hanno abortito un figlio, quel figlio. Sì, perché lo sanno tutte: non si interrompe un processo che in futuro si può riprendere o ricominciare uguale a sé stesso e in grado di portarci un figlio qualsiasi. Ciò che si interrompe è quella gravidanza, di quel figlio, che non sarà mai più. E, quand’anche ne nascessero in seguito numerosi altri, quel figlio lì non sarà più.

Non si tratta della solita retorica da invasati pro life (questo, come minimo, è il tenore degli appellativi che riceve chi si impegna a difesa anche del concepito, non contro la donna); non lo diciamo noi, non lo scrivono solo le associazioni pro vita. C’è una testimonial al di fuori di ogni sospetto; non è la sola, ma ha parlato pochi giorni fa. Si tratta di Simona Ventura, ospite nell’ultima puntata di Belve, format di interviste divenuto cult condotto da Francesca Fagnani su Rai 2. Senza tabù, viene definito. E non ne ha avuti la Ventura nel raccontare con disarmante onestà di un suo grande rimpianto. La conduttrice le ricorda che era giovanissima quando, scoperta la gravidanza in corso, decise di abortire. C’è un ovviamente della conduttrice che sembra anticipare la giustificazione della scelta.

«Una scelta sofferta che non rifarei più nella mia vita. Non passa giorno che non ci sia un pensiero per questo bambino mai nato», risponde la Ventura, che aggiunge affermazioni più politicamente accettate, come il fatto che spetti alla donna e a lei soltanto questa decisione e che in ogni caso vada rispettata. Una posizione, la sua, che si avvicina faticosamente alla vera libertà, perché riconosce la verità di ciò che ha compiuto, sebbene allora non del tutto consapevole, e soprattutto la verità di quel bambino. Molto più sospetta, invece, la posa da guerriera della parlamentare grillina che sembra con le sue urla voler coprire una voce silenziosa che probabilmente non potrà ignorare per sempre. Ed è un augurio, questo, non una minaccia. È la verità che ci farà liberi, e la Verità è una persona (Nb per la simpatica Simona Ventura: ha ragione la Fagnani, non c’è bisogno di far tornare in vita Gesù Cristo per parlargli, essendo Lui davvero risorto). (Fonte foto: Imagoeconomica)

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