Dopo l’elezione del Capo dello Stato, che per lunghezza aveva assunto quasi tinte da telenovela, l’attenzione di molti milioni di italiani è ora tutta su Sanremo, il Festival delle canzone italiana. Un appuntamento che, a tutti gli effetti, dagli anni Cinquanta del secolo scorso fa parte del calendario e dell’immaginario del Belpaese ma che, purtroppo, da tempo si è trasformato in una scontata vetrina del conformismo.
Se n’è avuta una conferma anche nelle prime battute di questa edizione – subito premiata, la prima sera, con un boom di ascolti (oltre 11 milioni di telespettatori, share di quasi il 48%) – con presunte posizioni «trasgressive» che hanno attirato i riflettori come, se non più, delle canzoni in gara. Si pensi, per cominciare, alle esternazioni di Ornella Muti – la co-conduttrice scelta da Amadeus per la prima serata della kermesse – la quale, sul suo profilo Instagram, guarda caso pochi giorni fa, ha pubblicato dei post in sostegno alla cannabis.
«Non spaccio canne, sostengo l’uso a scopo terapeutico», si è affrettata a precisare la popolare attrice. Come se non fosse arcinoto che la cannabis terapeutica sia un cavallo di Troia, come prova pure il supporto che ad essa danno i Radicali, che guarda caso son proprio gli stessi che si battono anche per la legalizzazione delle droghe in senso lato. Tanto è vero che i Radicali hanno pubblicamente ringraziato la signora Muti.
Detto ciò, vale comunque la pena sottolineare che la cannabis, ammesso e non concesso lo sia stata, non è più da tempo una questione «trasgressiva», bensì di perfetta omologazione. A meno che, chiaramente, non si intenda definire «trasgressiva» una battaglia promossa da fior di influencer nonché da figure come il magnate e filantropo George Soros; ma occorrerebbe davvero una bella faccia tosta per affermarlo. Esattamente come – tornando all’edizione 2022 di Sanremo – occorre molta fantasia per trovare qualcosa di davvero sorprendente nell’esibizione di Achille Lauro, che nel suo debutto all’Ariston, quest’anno, ha messo alla berlina il sacramento del Battesimo, portando una canzone, intitolata “Domenica”, con tanto di coro gospel che intona «AlleluXX».
Per esser sicuri che il colpo, per così dire, fosse andato a segno anche Fiorello, salito sul palco poco dopo Lauro, ha scherzato con il conduttore Amadeus: «Chissà come l’ha presa l’Osservatore Romano». Degna di nota, tornando agli artisti in gara, è stata la trovata del gruppo La Rappresentante di Lista, i cui componenti hanno chiuso il loro pezzo con il pugno chiuso e lo sguardo fiero verso la telecamera, con una posa da comunisti provetti. Tutto questo senza infine dimenticare che, tra le co-conduttrici di questa edizione, c’è Drusilla Foer personaggio etichettato come femminile, ma in realtà opera dell’attore Gianluca Gori, già distintosi per il suo convinto appoggio al ddl Zan.
Ora, davanti ad un simile show, con tutto il rispetto, sorge spontanea una reazione: embè? Tutto qua? Possibile che non si riesca mai a trovare, da parte di artisti alla ricerca della visibilità facile assicurata dallo scandalo, qualcosa di più e di meglio della solita irrisione dei cattolici? Purtroppo, la risposta a tali domande si sa già quale possa essere. Anche perché sono oramai anni che Sanremo – lo si diceva già in apertura – si è trasformato in una passerella della cultura dominante.
In principio, nel 2015, ad inaugurare la tendenza fu la presenza di Conchita Wurst, la drag queen austriaca con la barba che, allora, aveva vinto l’ultima edizione dell’Eurovision Song Contest. Poi, nel 2016, nel corso delle prime tre serate della kermesse, l’attenzione fu per quei cantanti saliti sul palco sfoggiando nastri con i colori dell’arcobaleno; in particolare, tra gli artisti che aderirono a tale dimostrazione – se così la vogliamo chiamare -, vi furono Enrico Ruggeri, Noemi, i Bluvertigo, Patty Pravo ed Eros Ramazzotti.
Oltre a ciò, in questi anni, hanno avuto il loro peso i personaggi sfilati sul palco sanremese come grandi ospiti internazionali: dalla poc’anzi ricordata Conchita Wurst ad Elton John, da Ricky Martin a Tiziano Ferro; tutti artisti, chi più chi meno, con qualche talento, sia chiaro, ma con un rapporto particolare con i temi etici, tanti di essi in particolare anche con l’utero in affitto.
Come si può dunque vedere, gira e rigira il disco è poi sempre lo stesso, ovvero quello d’un tentativo di approfittare della visibilità assicurata dall’evento Sanremo per rilanciare l’agenda progressista in fatto di diritti Lgbt e droghe libere, con quella ben dosata spruzzatina di anticristianesimo che non guasta mai. E le canzoni? E la musica? Tutto quanto ridotto a cornice d’uno spettacolo che tenta di essere controcorrente, ma in realtà la corrente la segue, eccome. In modo prevedibile e noioso, oltretutto.
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