«Nel silenzio diamo a Dio l’opportunità di parlare al nostro cuore». Si potrebbe riassumere con questa breve ma significativa affermazione il senso ultimo dell’omelia pronunciata mercoledì 8 settembre dal cardinal Robert Sarah, secondo quanto riportato dal Tagespost. Il prefetto emerito della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha infatti celebrato una partecipata Santa Messa (foto a lato) a Budapest, in Ungheria, nell’ambito del Congresso Eucaristico Internazionale (IEC). Congresso che si è aperto domenica 5 settembre e terminerà il 12 con la Santa Messa celebrata da papa Francesco e che torna sulle sponde del Danubio dopo oltre ottant’anni, da quel 1938: l’Ungheria, in questo lasso temporale, è di certo cambiata molto, ma l’immagine che rimanda è sempre quella di un popolo attento a Cristo e alle proprie radici cristiane, preservate con una sorta di orgoglio. E questo, come ha affermato il cardinale Péter Erdo in un’intervista pubblicata sul Timone di questo mese, forse anche in relazione al fatto che «a Budapest sappiamo cos’è la fame eucaristica».
Tornando alle parole di Sarah, nel corso dell’omelia il cardinale ha evidenziato l’idolatria materialista tipica dei nostri giorni, che porta le persone a vivere come se Dio non esistesse, in quanto appunto sostituito da «argento e oro, opera delle mani dell’uomo» (Sal 115[113B], 4). Un’impostazione di vita che si porta dietro conseguenze nocive per il singolo e per la società nel suo complesso: nell’inseguimento di un tanto agognato quanto mai raggiunto progresso, basato su fondamenti fragili, l’uomo finisce per perdere sé stesso e la libertà insita nel riconoscersi figli di Dio.
Di qui, il forte richiamo di Sarah a tornare a quel «culmen et fons» che è l’Eucarestia, rimettendo al centro Cristo nella propria vita. Un passaggio, questo, che necessariamente implica delle rinunce: tra queste, la tentazione di lasciarsi prendere da un “attivismo” spesso fine a se stesso, e in sé distruttivo della vita interiore, in quanto in opposizione a un’esistenza condotta nella consapevolezza dell’importanza di dedicare i giusti tempi e spazi anche al silenzio e alla preghiera, cosa che in parte la cosiddetta “pandemia” Covid-19 ha peraltro favorito.
JOHANNES HARTL: «DOBBIAMO RIMETTERE DIO AL CENTRO DEL NOSTRO MESSAGGIO»
Sulla falsariga di Sarah si è espresso anche Johannes Hartl, fondatore della Casa di preghiera di Augusta e autore cattolico tedesco di successo, intervenuto nel corso della settimana a Budapest.
Anch’egli ha mosso critiche contro l’attivismo tipico della modernità, per focalizzare il punto con una domanda che, a suo avviso, ogni cattolico dovrebbe porsi: «Il mio cuore arde ancora per Gesù?». Domanda che non può prescindere da una vita che riassegni la priorità alla preghiera, e questo sia per chiedere quotidianamente la grazia della conversione, sia per resistere di fronte ai momenti di aridità spirituale.
«Sogno una chiesa famosa per ciò per cui è affascinata e per ciò per cui brucia», ha anche affermato Hartl, che ha richiamato anche all’importanza di coltivare la bellezza nell’architettura, nella musica e anche nella liturgia, alla luce della constatazione che «il fascino è al centro della vita cristiana!»: «Non solo la società», ha sottolineato, «ma anche la Chiesa ha perso la sua bellezza. Tutto oggi deve essere economico e minimalista. Tuttavia, la bellezza non è sempre una questione di soldi, ma sempre una questione di amore». Proprio quell’amore che si trasforma in cura e in rispetto, e che dovrebbe essere al massimo grado quando riguarda il Signore.
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