Con un solo articolo ha mandato su tutte le furie gli intellò e i maître à penser nostrani, che non lo possono sopportare. Anche perché trattasi di figura inattaccabile: docente universitario, studioso rispettatissimo e di dichiarata fede progressista. Insomma, il sociologo Luca Ricolfi ha il profilo perfetto per essere un guru dell’establishment, se non fosse che domenica scorsa, per giunta sulla testata di punta dell’establishment – Repubblica -, ha osato l’inosabile: firmare un lungo intervento critico sulla cultura dominante intitolato «Politicamente corretto, le cinque varianti delle parole».
Non l’avesse mai fatto. Su Twitter la scrittrice Michela Murgia ha prontamente attaccato l’intellettuale torinese rimproverandogli d’essere «un editorialista italiano maschio bianco eterosessuale» che «sente minacciato il suo privilegio». Un commento meno aggressivo ma comunque velenoso è arrivato anche da Gad Lerner: «Complimenti a Luca Ricolfi. Il suo odierno approdo a Repubblica, il giornale della sinistra ‘antipatica’ contro cui ha condotto una coerente battaglia culturale, è a suo modo una vittoria. Può compiacersi di avere espugnato la roccaforte nemica. Metamorfosi di un giornale…». Ma per Murgia e Lerner, che non ce l’hanno fatta a trattenersi, molti altri si sono infuriati, a loro modo comprensibilmente.
Già, perché Ricolfi in questi giorni ne ha fatta un’altra di grossa: pubblicare insieme alla moglie, l’ex docente Paola Mastroloca, Il danno scolastico (La Nave di Teseo, 2021), volume il cui sottotiolo dice già tutto: «La scuola progressista come macchina della disuguaglianza». Oltre che attaccare il politicamente corretto, dunque, il sociologo ha pure criticato quell’istituzione scolastica che, si sa, è per il mondo liberal una sorta di tempio, di laboratorio in cui crescere le giovani generazioni all’insegna delle «magnifiche sorti e progressive».
Detto ciò, di questa vicenda è difficile non notare alcuni lati paradossali. Il primo, già notato da alcuni osservatori, consiste nel fatto che prendersela con Ricolfi per la sua critica al politicamente corretto vuol dire precisamente una cosa: dargli ragione. Nel momento in cui lo studioso denuncia una forma strisciante di dittatura culturale e, per aver osato tanto, viene attaccato significa che evidentemente quella sua denuncia tanto campata per aria non è.
Un secondo paradosso viene del fatto che, nel momento in cui certi ambienti liberal e progressisti – che fanno della cultura la loro bandiera – se la prendono con il sociologo torinese, significa che, in fondo, proprio colti non sono. É infatti da anni che, pur professandosi di sinistra, l’intellettuale piemontese evidenzia che l’area politica da cui proviene ha dei seri problemi sia con il linguaggio sia con l’attenzione ai problemi reali delle persone; basti pensare al suo libro, uscito oltre 10 anni fa, Perché siamo anticipatici. La sinistra e il complesso dei migliori (Longanesi 2008).
Il terzo ed ultimo lato paradossale che non si può non riscontrare riguarda l’intolleranza di ambienti culturali che, da un lato, si professano antifascisti e contro ogni imposizione del pensiero e, dall’altro, rinverdiscono con i loro atteggiamenti una intolleranza che, a parole, dicono di avversare. Un bel cortocircuito, non c’è che dire, e che conferma ciò che osservava già il filosofo Augusto Del Noce (1910-1989), a proposito di una cultura dominante con cui non serve affannarsi a voler dialogare dato che, vista da vicino, è agonizzante ed ha ben poco da insegnare.
Riceverai direttamente a casa tua il Timone
Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone
© Copyright 2017 – I diritti delle immagini e dei testi sono riservati. È espressamente vietata la loro riproduzione con qualsiasi mezzo e l’adattamento totale o parziale.
Realizzazione siti web e Web Marketing: Netycom Srl