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Sibilla e Indi, il doppiopesismo della libertà di scelta
NEWS 8 Novembre 2023    di Raffaella Frullone

Sibilla e Indi, il doppiopesismo della libertà di scelta

Il quotidiano torinese La Stampa ieri aveva in apertura due foto, con un solo titolo: «Il grido di Sibilla sul corpo di Indi». Sulla sinistra un fotogramma dell’ultimo video diffuso da Sibilla Barbieri, attrice e regista, cinquantottenne, morta tramite il suicidio assistito in Svizzera, dove è arrivata tramite l’Associazione Coscioni, da tempo ormai Caronte della morte tra l’Italia e la Svizzera. A destra una foto di Indi Gregory, la bimba inglese di soli otto mesi affetta da una malattia mitocondriale, che secondo il sistema sanitario inglese dovrebbe essere lasciata morire in nome del suo “miglior interesse” e a cui il Governo italiano ha dato la cittadinanza per permetterle di venire a curarsi al Bambin Gesù di Roma.

La prima pagina è un’istantanea perfetta del cortocircuito dentro sui siamo immersi. Da un lato il dogma della libertà di scelta portato fino al suo estremo che “deve” dare il diritto ad una malata oncologica di anticipare la morte prossima, dall’altra la coercizione spietata contro la volontà dei genitori che vorrebbero solo portar la figlia in un ospedale straniero in cui ci sono persone disponibili a prendersene cura. E’ l’Occidente, bellezza.

«Sibilla ha deciso di andare in Svizzera per porre fine alle sue sofferenze – scrive La Stampa  – trasformando però la sua morte in atto politico». Nell’articolo a firma di Valentina Petrini si legge che «non doveva andare così. Sibilla avrebbe dovuto staccare la spina a casa sua, in Italia». Si ripercorre la sua vicenda, si spiega che è stata assistita dall’Associazione Luca Coscioni e supportata dal figlio nella decisione di provocarsi la morte, si fa notare che per andare in Svizzera a morire c’è stato bisogno di soldi. «A Roma le avevano negato il fine vita», scrivono nel sommario, ma il fine vita di Sibilla non lo poteva negare un Asl, Roma o chiunque altro, purtroppo era per lei solo questione di tempo, ma ha voluto comunque andargli incontro. Forse terrorizzata dal dolore, o dalla solitudine. E attorno a trovato chi l’ha incoraggiata e chi oggi plaude la sua decisione. In nome del diritto di scelta appunto.

Peccato che in queste ore si stia invece lottando per un’altra libertà di scelta, quella dei genitori di Indi Gregory a curare la loro piccola. Nonostante il Consiglio dei ministri lampo che le ha concesso la cittadinanza italiana, il giudice Robert Peel, incaricato del caso, al momento non ha modificato la propria opposizione al trasferimento della neonata nell’ospedale Bambino Gesù di Roma o di altri centri italiani pronti a offrirsi, e intende valutare solamente l’iter da seguire per le cure palliative da somministrare alla piccola nell’accompagnamento verso la morte “in quanto malata terminale e quindi incurabile”. Anche in questo caso lo scopo è solo anticipare la morte, che nel caso di Indi nemmeno si sa quanto sarebbe vicina. I genitori, Claire Staniforth e Dean Gregory, stanno lottando per una revisione del protocollo che la porterebbe alla stessa morte di Alfie Evans e di Charlie Gard. Perché inguaribile non significa incurabile.

La storia non insegna, evidentemente non abbastanza. «Lodato sii, mio Signore – scriveva San Francesco – per la nostra sorella morte corporale, dalla quale nessun essere umano può scappare; guai a quelli che moriranno mentre sono in peccato mortale. Beati quelli che troveranno la morte mentre stanno rispettando le tue volontà». Qui la morte è invece solo ricercata, procurata, la volontà di Dio non conta, conta invece la volontà di chi si sente Dio e pensa di essere padrone della vita e della morte. Ma è una superbia che si paga cara. E che nel caso di Indi ancora piò essere evitata.

(Fonte foto: Screenshot Associazione Luca Coscioni, Youtube; Screenshot GFS News, YouTube)

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