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Socche, un vescovo nel triangolo della morte
NEWS 10 Dicembre 2018    di Lorenzo Bertocchi

Socche, un vescovo nel triangolo della morte

Monsignor Beniamino Socche (1890-1965), prima vescovo di Cesena dal 1939 al 1946, poi di Reggio Emilia dal 1946 fino alla morte, quando fu nominato pastore della diocesi reggiana infuriava un clima da far-west in quel lembo di terra, fra le provincie di Reggio, Modena, Bologna e Ferrara, passato poi alla storia come “triangolo della morte”.

Il 18 giugno 1946, appena un mese dopo l’insediamento di monsignor Socche, a S. Martino di Correggio si consumò il delitto di don Umberto Pessina, ennesimo sacerdote che in quegl’anni fu fatto fuori da partigiani comunisti. Solo oggi, piano, piano, la tragica storia del dopoguerra emiliano-romagnolo comincia a mostrare il suo vero volto, purtroppo grondante sangue. Di martiri.

Tra questi si può includere anche il martirio “bianco” di monsignor Socche che, incurante del rischio, si batté con implacabile fermezza nella denuncia di un clima ammorbato dall’ideologia comunista. In occasione della festa del Corpus Domini – quattro giorni dopo la morte di don Pessina – disse solennemente: «Abbiamo fulminata la scomunica agli assassini, riservandone a noi personalmente l’assoluzione eventuale; e gli assassini sono tanto i mandanti quanto gli esecutori materiali. (…) Domandiamo pronta e piena giustizia di questo delitto orrendo e sacrilego. (…) faremo palese all’Episcopato cattolico del mondo le condizioni di terrore in cui si trovano i nostri paesi. Se poi si pensasse di uccidere anche il Vescovo, sappiate che il Vescovo sarà ucciso perché voleva, a qualunque costo, andare fino in fondo a questo orribile delitto».

Il suo segretario – don Gildo Beggi – dichiara che «non venne mai a compromessi con gli uomini del comunismo reggiano. (…) per nessuna ragione e per nessun motivo». Dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria decise di non partecipare neanche alle manifestazioni ufficiali promosse dalla autorità locali, perché non voleva dare occasione alcuna per giustificare quell’ideologia atea. Il Partito Comunista aveva messo in atto una violenta campagna di stampa e diffamazione contro di lui, campagna che era arrivata perfino ad accusare lo stesso vescovo di aver fatto ammazzare don Pessina per aver modo di incolparne il comunismo.

Questa sua chiara posizione fu contrastata anche da una parte del mondo cattolico che proprio in quegl’anni cominciava a teorizzare la politica della “distensione”. Questo gli procurò molta amarezza perché – diceva – «che cosa c’è di più ovvio del chiudere le porte quando fa freddo? Ebbene, io che mi ostino a chiudere le porte, non solo mi trovo in minoranza, ma sono guardato come un tipo strano. E che cosa c’è di più ovvio, per la Chiesa, che combattere il comunismo?».

Comunque l’avvicinamento dei cattolici ai comunisti lo fece soffrire molto, perché ne vedeva il chiaro pericolo per le anime, infatti, per lui l’unico possibile accostamento al marxismo è “per illuminare e portare la verità di Dio ai fratelli smarriti”. A proposito della strategia della distensione, nel suo diario del 1959 scrisse: «c’è un’eresia in atto che nega la giustizia: le battaglie si vincono non facendole. (…) I nostri tempi sdolcinati e fatti ad acqua di rosa hanno dimenticato che per gli erranti ci vuole sempre misericordia, ma contro l’errore e contro coloro che, convinti dell’errore, lo difendono e propagano, a qualunque costo, a costo di perdere la vita, non c’è pace, né riposo, mai, mai».

La sua forza spirituale e morale trae origine da un’intensa devozione alla Madonna: membro della Pontificia Accademia dell’Immacolata era conosciuto per i suoi libri di mariologia, amava la Madre di Dio al punto che si batté per la definizione del dogma della mediazione universale di Maria. Per questo preparò anche un breve intervento al Concilio Vaticano II, purtroppo non gli fu data l’occasione di leggerlo.

Il suo magistero oggi deve essere rivalutato anche per alcuni accenti di straordinaria attualità. Parlando della crisi della famiglia diceva: «bisogna tornare indietro e fare quello che hanno sempre fatto per tanti secoli i nostri vecchi, dare ai figli l’affetto per la casa, per la famiglia, per la Chiesa, spronarli con l’esempio a tenersi bene attaccati al Signore. Ora tutto questo fate, solamente se voi vi unite a pregare, se diventate cioè sostenitori del Santo Rosario in famiglia».


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