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Stilla come rugiada dal Kuwait #29 – Qual è il primo di tutti i comandamenti?
NEWS 31 Ottobre 2021    di don Francesco Capolupo

Stilla come rugiada dal Kuwait #29 – Qual è il primo di tutti i comandamenti?

XXXI Domenica del Tempo Ordinario 31/10/2021

Commento al Vangelo Mc 12, 28-34

Sempre nel 12° capitolo del Vangelo di Marco, ai versetti 18-27, uno scriba ha ascoltato la discussione tra Gesù e i sadducei, in merito alla Resurrezione e ha apprezzato la sua sapienza: nella pagina odierna del Vangelo, “osa” avvicinarsi al Signore per chiedergli: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?”. Domanda che nasce da un’esigenza profonda del nostro cuore: desiderare una sintesi dei precetti di Dio presenti nella Scrittura, così da giungere all’essenziale, a ciò che costituisce l’intenzione profonda del cuore di Dio, della sua offerta di vita e di senso a tutta l’umanità, nel Figlio Risorto.

In questo breve dialogo che sorge tra i due, anzi, l’interrogazione che viene fatta a Gesù, sorge una bellissima “catechesi” sul tema dell’Amore: in cosa consiste l’Amore di Dio e per Dio?.

Capiamo subito che lo scriba è intenzionato a coinvolgere Gesù in un dialogo vero, ricercato e sorgivo di Verità; la sua non è una trappola come quelle che di solito tendono i farisei, ma realmente il desiderio di verità che alberga nel suo cuore fa “capolino” di fronte a Gesù che gi sta di fronte.

Potremmo dire che ci troviamo di fronte alla stessa scena che i Vangeli ci descrivono al momento del “faccia a faccia” tra Gesù e Pilato, il tentativo flebile del governatore di liberare Gesù, spinto da un misto di sentimentalismo verso Gesù e dalla paura di un’ennesima rivolta che avrebbe segnato la fine del suo potere se non della sua stessa “vita politica”.

Di fronte allo scriba, come di fronte a Pilato, si trova l’Uomo della Verità, la stessa Verità. Per Ponzio Pilato questo incontro si declina come un ignoto enigma che merita una soluzione immediata perché non porti danno alla sua persona, lavarsene le mani indica il distacco assoluto tra lui e la sua decisione rispetto alla persona di Gesù, l’ignavia che nasce da una profonda diffidenza in se stesso, nella sua gnostica ricerca di verità, alla quale manca il desiderio di un’esperienza: l’Amore.

Lo scriba del Vangelo di questa domenica ha una posizione diametralmente opposta a quella di Pilato; lui interroga realmente Gesù, vuole avere una conferma e non cerca di rimandare al mittente l’offerta della Verità. Nel dialogo con Pilato, il Signore si sente “gravare” di una responsabilità che non gli appartiene, sottolineata dall’incalzare delle domande del governatore sulla sua regalità, sulla sua esistenza, sulla sua essenza (cf. Lc 23, 1-25) che demandano a Gesù quello che dovrebbe essere il riconoscimento stesso di Pilato: vedo in te l’innocenza che la folla invece nega, chi sei veramente? Perché ti calunniano? Questo avrebbe aperto la possibilità di un dialogo fra i due ed il riconoscimento da parte di Pilato del Messia ma l’esito del colloquio, finisce con una laconica e, forse, retorica domanda: “che cos’è la verità?”, alla quale Gesù non risponde più con le parole, dopo averlo fatto fino a poco prima.

Il grande assente di questo incontro (da parte di Pilato) è l’Amore, che invece abbonda nell’esperienza dello scriba.

Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici ».

La Verità conduce inevitabilmente all’Amore, perché se entriamo nella Verità, entriamo nella profonda esperienza d’Amore del Signore, di cui strumento si fa la libertà. Pilato non è libero e non può amare, lo scriba è profondmente libero, perché desidera la Verità e questa lo porta nell’esperienza dell’Amore.

Cosa significa amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze? Che amore è mai questo, verso un “tu” invisibile?

Una lunga tradizione patristica, indica l’amore verso Dio da parte del credente come un amore di desiderio, una dinamica per cui il credente va alla ricerca dell’amore e dunque ama l’amore. Il linguaggio di questo amore è quello tipico dei salmi: “L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente (Sal 42,3).” Oppure “La mia anima ha sete di te, a te, mio Dio, anela la mia carne (Sal 63,2).”

Dio è oggetto di amore da parte dell’essere umano, perché è il “tu” che con il suo amore preveniente desta l’amore del credente come risposta; l’amore per Dio può essere un amore più forte di quello nutrito per se stessi o per gli altri, pur non trattandosi di un amore totalitario che esclude altri amori, ma è un amore appassionato, un amore in cui non c’è timore: un amore che supera e costruisce la bussola per tutti gli altri amori.

Nella tradizione cristiana è presente anche un’altra interpretazione “dell’amore per Dio”. È quella che legge nell’amore per Dio un amore obbediente, nel senso di un amore che nasce dall’ascolto (ob-audire), di un amore che risponde “amen” alla chiamata del Signore e all’amore stesso del Signore sempre preveniente. È un amore non di desiderio ma di adesione; è un amore con cui il fedele cerca di realizzare pienamente la volontà di Dio, cerca di vivere come indica il suo Signore e così mostra di amarlo: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” (Gv 14,15); “se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,23).

In questa seconda prospettiva, l’accento cade proprio sull’amore del prossimo comandato da Dio. Amare Dio è innanzitutto amare l’altro come Dio lo ama, perché – come ha descritto “plasticamente” l’Evangelista Giovanni – “chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). Immaginiamo, quindi, in questa dinamica, l’impatto fortissimo del comandamento dell’Amore verso i nemici. Significa aver aderito ed essere inseriti dentro una profonda certezza dell’Amore di Dio, svincolata da ogni forma di egoismo o preconcetto: la libertà totale da ogni deisderio di possesso, l’anticipo del Paradiso, il centuplo quaggiù.


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