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Strapaese, il mondo piccolo non è un piccolo mondo
NEWS 6 Settembre 2021    di Redazione

Strapaese, il mondo piccolo non è un piccolo mondo

Il movimento culturale che un secolo fa rimise al centro l’Italia profonda, quella dei 1000 campanili, a cui anche il Timone ha dedicato un dossier, non era un nostalgico e faceto rimando al passato, né un rifiuto del tempo presente. Strapaese, così si chiamava quel movimento che aveva in Mino Maccari, Leo Longanesi e Curzio Malaparte gli esponenti di punta, era la risposta alla Stracittà, una risposta non di abolizione della modernità, ma il modo di trovare nelle proprie radici la base per non essere travolti dal nuovo. E restare italiani, cattolici e romani.

Francesco Giubilei ha scritto una storia di questo movimento culturale: “Strapaese. L’Italia dei paesi e della chiese di campagna”, edizioni Odoya, pag. 301, € 20,00. Per gentile concessione pubblichiamo un breve stralcio del libro. (L.B.)

Di Francesco Giubilei

Strapaese è l’argine al dilagare della modernità e del progresso nel nostro mondo, è il richiamo alla tradizione, a valori antichi e ancestrali, a usanze e costumi che stiamo smarrendo. Strapaese custodisce il senso di comunità, le consuetudini secolari che si vorrebbero spazzare via come se nulla fosse e che oggi sono combattute e osteggiate. Strapaese vive nei piccoli paesi dell’Italia Centrale e Meridionale, nella semplicità della vita paesana, conserva le usanze della civiltà contadina.

È spiritualità prima che materialismo, è l’Italia delle pievi di campagna, del silenzio, del legame con la natura. Quella delle processioni, delle cerimonie e dei rituali che scandiscono la vita, del legame con il sacro e il mistero nelle lunghe notti in cui tenebre e oscurità sembrano prevalere. È un’Italia più semplice ma più genuina, un piccolo mondo antico, parafrasando Fogazzaro, in cui tutto è scandito da ritmi che si ripetono nei secoli. Una civiltà in cui la solitudine e l’insoddisfazione della contemporaneità lasciano spazio al rispetto delle regole e dei ruoli. È il piccolo mondo di Giovannino Guareschi, di Don Camillo e del “Candido” ma, ancora prima, è l’Italia di fine Ottocento, delle “vecchie zie” di Longanesi, quella descritta da Soffici nella sua autobiografia.

Certo, sarebbe sbagliato trasmettere un’immagine idealizzata e romantica tralasciando le difficoltà della vita nei campi, fatta di duro lavoro e sacrificio, come emerge dalle pagine di alcuni dei romanzi più affascinanti del Novecento italiano. (…)

FRANCESCO GIUBILEI

È un’Italia che non c’è più sotto tanti punti di vista, poiché Strapaese è stato sconfitto da Stracittà, i piccoli paesi e le province sono stati soppiantati dalle metropoli. Dunque, ricordare Strapaese in un mondo globalizzato può sembrare un esercizio reazionario e fuori tempo. In una contemporaneità in cui anche le nazioni sono considerate entità da superare in nome di nuove strutture sovranazionali, figurarsi la vita di paese con i suoi ritmi, le sue usanze e consuetudini.

Eppure, siamo sicuri che il modello di sviluppo globalizzato sia quello più giusto? Siamo certi che il consumismo, il materialismo portato agli estremi, il predominio della tecnologia che domina i nostri giorni, sia la risposta alle esigenze degli uomini contemporanei?

Guardiamoci intorno; «Siamo sempre più soli», come scrive Mattia Ferraresi nel suo libro Solitudine con il sottotitolo emblematico di «Il male oscuro delle società occidentali». (…)

Strapaese [allora, ndr] è anche un recupero del Medioevo, ingiustamente accusato di essere un’epoca oscurantista, in realtà, un periodo storico ricco di fascino e caratterizzato da una civiltà intrisa dei valori cristiani. Oggi viene ricordato come l’epoca dei roghi delle streghe, ed è innegabile che vi furono, ma mai si menziona il ruolo e il prestigio di donne come santa Rita da Cascia o santa Chiara. Così come è sottaciuto il contributo inestimabile che i monasteri, in particolare quelli dei monaci benedettini, hanno donato alla nostra civiltà per tramandare le opere e gli autori della classicità, o quello di artisti come Giotto, Cimabue, Masaccio. Inoltre, è stato anche l’epoca dei comuni, delle corporazioni, di una società scandita da una struttura gerarchica, in cui ogni cittadino aveva un proprio ruolo ben definito e strutturata su tre cardini: potere temporale, potere spirituale, potere militare; il re (o l’imperatore), il papa e i cavalieri, e nelle città il podestà, il vescovo e il cavaliere, una civiltà in cui l’ambito spirituale è centrale in ogni aspetto della vita […].


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