Di spalla alla notizia del documento vaticano uscito l’altro ieri, La Stampa ritira fuori la storia di di Martina Colomasi, l’avvocato 35enne che da sette anni si batte affinché l’utero in affitto diventi una pratica legale anche nel nostro Paese. Il quotidiano torinese, per addolcire la pillola, la chiama “gestazione per altri regolamentata e solidale” e quindi ha deciso di tornare a dar voce alla Colomasi che ripete quanto già detto in decine di interviste: «Dichiarai pubblicamente di essere pronta a dare il mio utero per dare a mio fratello la possibilità di avere dei figli e di averli in Italia. E poi ho capito che lo avrei fatto anche per gli altri, non solo per mio fratello. Una mia carissima amica non riesce ad avere figli. L’ho vista soffrire quando tentava l’omologa. Perché non dovrei aiutarla se posso? Il corpo è mio e non sono una persona economicamente sfruttabile, sono una professionista che lavora».
L’ottica è sempre una, soddisfare il desiderio degli adulti attraverso la nascita di un bambino. E’ considerato del tutto lecito, anzi giusto, anzi auspicabile, creare una vita in laboratorio per questo scopo. L’unica obiezione mossa dal giornale – nonché l’ultimo paletto fragile che regge ancora minimamente nel dibattito – è lo sfruttamento del corpo della donna, ma Martina Colomasi ha la ricetta anche per questo: «esiste, nessuno lo nega ma l’unico modo per evitarlo è approvare una legge che regoli la Gpa»,
Scrive invece a riguardo Kajsa Ekis Ekman, giornalista e saggista svedese, di cui si parla anche in “Presidenta anche no! – Resistere al fascino del neofemminismo”: «La gravidanza è un “servizio” proprio come il lavoro in fabbrica o il taglio del prato. Dunque si ragiona esattamente allo stesso modo dei sostenitori della prostituzione. Ma se la gravidanza è un lavoro, qual è allora il prodotto? A differenza della prostituzione, il prodotto non può essere declassato a un concetto astratto come il “sesso”. Il prodotto della maternità surrogata è assolutamente tangibile: è un neonato. Se la gravidanza è come lavorare in fabbrica, allora il bambino è paragonabile a un’auto o a un telefono cellulare. La donna partorisce e dà alla luce un bambino e consegna il prodotto. Nello stesso momento in cui rinuncia al figlio, riceve il pagamento. La prima cosa che ci chiediamo è: perché questo non dovrebbe essere considerato traffico di esseri umani?»
In questi giorni inoltre Olivia Maruel, 32 anni, nata da utero in affitto e da anni in prima linea per chiederne l’abolizione universale, è stata ricevuta da Papa Francesco, e poi intervistata da Monica Ricci Sargentini per il Corriere della Sera: «La ragione principale per cui sono contro la maternità surrogata è che i bambini non possono essere comprati. È contro qualsiasi principio etico. Io capisco che ci siano persone che soffrono di infertilità e che desiderano avere un bambino. Le capisco, so quanto sia difficile. Ma non è che siccome tu hai un desiderio devi calpestare i diritti delle donne e dei bambini. Non è un diritto avere un figlio».
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