Sabato 13 Dicembre 2025

Piazza Tiananmen, 20 anni dopo

 

 

 

 

Nel 1989 a Pechino accadono avvenimenti decisivi per il futuro cinese. Nella piazza più grande del mondo, migliaia di giovani accorsi da tutta la Cina chiedono libertà. La risposta del Governo comunista non si fa attendere: ed è un massacro




Ogni anno, prima del 4 giugno, il governo cinese compie una serie di arresti di dissidenti, aumenta i controlli su internet e sulla piazza Tiananmen, ali erta soldati e poliziotti per impedire ogni pur minimo assembramento. Anche quest'anno questo "rito" è stato rispettato: senza parlare di che cosa è successo il 4 giugno, la Cina continua a perpetuare la memoria imbavagliando inutilmente - chi ne vuoi parlare.
Quest'anno poi, il 2009, sono venti anni da quell'evento che ha cambiato la Cina e il mondo. Anche per l'occasione di tale ricorrenza, vale la pena ricordare che cosa è avvenuto allora, specialmente per i giovanissimi che sanno poco o nulla delle manifestazioni e sit-in di studenti, operai e contadini che per oltre un mese hanno occupato piazza Tiananmen nell'aprile-maggio 1989. Quel movimento non violento chiedeva "più democrazia e meno corruzione" al Partito comunista che, avendo intrapreso alcune modernizzazioni economiche, resisteva ad attuare le riforme politiche.

I fatti
Per intere settimane, giovani provenienti da tutta la Cina hanno sostato nella piazza più grande del mondo, sostenuti dalla popolazione di Pechino e attendendo un'apertura e il dialogo con la dirigenza comunista. Il 26 aprile il Partito, con un furioso editoriale sul Quotidiano del popolo, ha bollato il loro movimento come "contro-rivoluzionario", mirante a rovesciare il sistema comunista, e chiedendone lo scioglimento. La notte fra il 3 e il4 giugno di venti anni fa, l'esercito "per la liberazione del Popolo" è intervenuto con i carri armati a "liberare" la piazza occupata da studenti e operai indifesi. Secondo organizzazioni internazionali (Croce Rossa e Amnesty International), oltre 2600 persone sono state uccise quella notte nella piazza e nelle vie adiacenti. Almeno ventimila persone sono state arrestate nei giorni seguenti, mettendo fine al "sogno della democrazia".
Personalità del Partito, che avevano resistito all'ordine del massacro, sono state arrestate ed esautorate. Fra essi vi è Zhao Ziyang, all'epoca segretario generale del Partito, e Bao Tong, suo collaboratore. Zhao ha vissuto agli arresti domiciliari per tutto il resto della vita, fino alla sua morte, il 17 gennaio del 2005. Bao, dopo aver passato sette anni in prigione, vive ancora oggi agli arresti domiciliari, con il telefono controllato.
A pochi giorni dall'anniversario è stato pubblicato (in inglese e in cinese) un libro con le memorie di Zhao Ziyang, dal titolo "Prigioniero di Stato". In esso - grazie a registrazioni segrete avvenute nella casa di Zhao ed elaborate all'estero - emergono alcune verità sul massacro di Tiananmen, sulle responsabilità del leader Deng Xiaoping, che nella sua "paranoia" temeva una rivoluzione giovanile; sulle responsabilità dell'ex premier Li Peng, che ordinò il massacro e sull'acquiescenza dell'allora sindaco della capitale Chen Xitong, che permise l'arrivo dei carri armati sulla piazza. Entrambi hanno appoggiato Deng solo per mire di carriera e di potere.
Da allora, il Partito ha cercato di cancellare la memoria del massacro, giustificandolo talvolta come "il male minore", il prezzo pagato per garantire la "stabilità" e raggiungere lo sviluppo economico che ne è seguito.

Un cambiamento solo economico
Ma come fanno notare molti dissidenti cinesi, la Cina è cambiata solo in campo economico. Solo in questo ambito si può dire che vi sono molti successi, con una crescita del Pii (Prodotto interno lordo) che per molto tempo è stata sul 10% ogni anno. Ma il modo in cui il Partito comunista tratta la sua gente non è cambiato per nulla. Anche sul fronte della corruzione non è cambiato nulla. L'unica cosa che è mutata rispetto a 20 anni fa sono le dimensioni della corruzione. E la gente continua ad essere adirata contro questa corruzione, come venti anni fa.

Il "dissenso" in Cina
Fra le organizzazioni che da vent'anni chiedono giustizia sul massacro, vi sono le "Madri di Tiananmen", un'associazione dei genitori dei figli uccisi dai carri armati. Essi domandano al Partito di conoscere la verità sul bagno di sangue, su chi ha dato l'ordine, sul perché. Inoltre esigono che il Partito cambi la definizione di "controrivoluzionari" data ai loro figli defunti, per chiamarli invece "eroi" e "patrioti" perché, essi dicono, stavano lavorando per il bene del popolo cinese. Ma il Partito, anche quest'anno, ha proibito loro perfino di andare al cimitero a rendere onore ai loro figli defunti.
Si può senz'altro dire che il 4 giugno 1989 ha cambiato la Cina, ma in un senso molto particolare: dal massacro di Tiananmen il Partito comunista cinese non è stato più visto come il gruppo che ha liberato e unito il Paese, ma come il covo di una oligarchia che domina il suo stesso popolo per i propri vantaggi. In quegli anni le iscrizioni al Partito sono diminuite fino al 70%. Per questo ancora oggi molti dissidenti si battono per i valori dei giovani di Tiananmen: più democrazia e meno corruzione.
Quest'anno tale richiesta è emersa con chiarezza nell'appello di "Carta 08", un documento firmato da trecento personalità in cui si chiede al governo cinese di rispettare i diritti umani, attuare riforme politiche e garantire l'indipendenza del potere giudiziario. Il documento è stato pubblicato in occasione dei 60 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.
Ma subito dopo è iniziata la caccia ai firmatari e uno di loro, l'intellettuale Liu Xiaobo, è stato arrestato ed ora è accusato di "sovversione contro lo Stato". L'appello di Carta 08, pur censurato dai siti web, è stato firmato da oltre novemila persone, fra cui anche membri del Partito.
Mentre Pechino fa di tutto per "dimenticare Tiananmen", crescono sempre di più coloro che invece vogliono ricordarla. Anche un gruppo di pastori protestanti cinesi ha domandato al governo di chiedere perdono per il massacro, per ricostruire la Cina sul rispetto per l'uomo e sulla libertà religiosa.
Intellettuali e gente comune affermano che la memoria del passato serve a non ripetere gli errori nel futuro. Purtroppo, la Cina contemporanea sembra dirigersi in modi molto pericolosi verso una ripetizione amplificata di quel massacro. Questa volta le vittime sono operai, contadini, studenti, lavoratori migranti che a centinaia di milioni non godono del benessere creato dall'attuale sviluppo economico, segnato - proprio come 20 anni fa - dalla corruzione dei membri del Partito e dalla mancanza di democrazia e di dialogo. Le rivolte che si susseguono in ogni parte della Cina, spesso sedate nel sangue, sono l'ennesima riprova che la Cina è a un crocevia in cui deve decidere quale sviluppo vuole perseguire, se quello dittatoriale, che rischia di portare a un'implosione del Paese, o quello dell'apertura e del dialogo con la società civile.
In una verifica del cammino di questi venti anni, vale la pena anche mettere in luce il legame fra movimento democratico e libertà religiosa. Nei primi anni dopo il 1989, il braccio di ferro fra i dissidenti e il Partito è rimasto troppe volte a livello di rivendicazione economica o di particolare libertà individuale. Ma ormai in Cina si diffonde sempre più una cultura che mette al centro la persona e i suoi diritti inalienabili, valorizzando il potere dello Stato, ma non la sua dittatura autoritaria.
Per questo salto è stato importante per alcuni dissidenti proprio l'esilio all'estero, il contatto con comunità cristiane occidentali, o la ricerca religiosa all'interno della Cina. Personalità come Gao Zhisheng, Han Dongfang, Hu Jia hanno scoperto la fede cristiana come la base del valore assoluto della persona, come la forza della loro dissidenza e della difesa dei diritti umani. Questo innesto fra impegno civile e libertà religiosa è uno dei frutti che fa più sperare per il presente e il futuro della Cina. Ma è anche il sottile motivo per cui il governo cinese, oltre che imbrigliare i dissidenti, continua a perseguitare soprattutto cattolici e protestanti.











IL TIMONE N. 86 - ANNO XI - Settembre/Ottobre 2009 - pag. 26 - 27

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