Giovedì 30 Ottobre 2025

«30 anni dopo Evangelium vitae resta la Magna Carta dei pro-life»

In vista del Convegno che ricorderà, a Roma, i 30 anni dell’Enciclica che celebra la vita, intervista a Marina Casini

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Un’enciclica per la vita: trent’anni di Evangelium vitae è il titolo del convegno - organizzato e promosso da varie associazioni, in primis l'Associazione Family Day - che si svolgerà il 25 marzo a Roma, in occasione dei 30anni dell’’Evangelium Vitae di Papa Giovanni Paolo II, che tra i relatori annovera il cardinale Angelo Bagnasco, Domenico Airoma procuratore della Repubblica ad Avellino, Marco Invernizzi reggente nazionale di Alleanza Cattolica, Maurizio Sacconi ex parlamentare e Marina Casini, presidente del Movimento per la Vita Italiano. A quest’ultima ci siamo rivolti per approfondire il senso di un’enciclica di un’attualità spiazzante, che ancora, a distanza di anni, suscita e ispira eventi come questo. Professoressa Casini, 30 anni dopo qual è l’eredità dell’enciclica Evangelium Vitae? Cosa cercherà di evidenziare nel suo intervento al convegno “Una enciclica per la vita”? «Una eredità enorme, straordinaria, ancora da comprendere fino in fondo. È una grande enciclica sociale che tratta questioni ancora oggi attualissime. Può considerarsi la “magna carta” del popolo della vita. Va letta e riletta. Meditata. C’è un forte richiamo ai “responsabili della cosa pubblica” che, in quanto «chiamati a servire l’uomo e il bene comune, hanno il dovere di compiere scelte coraggiose a favore della vita, innanzitutto nell’ambito delle disposizioni legislative». Si esamina infatti, tra i molti altri aspetti, la “sorprendente contraddizione” sviluppatasi nell’ambito dei diritti dell’uomo: essi anziché essere per l’uomo, divengono strumenti “contro” l’uomo, specialmente nelle fasi di maggiore fragilità: l’uomo che comincia a esistere, che è colpito dalla malattia e/o dalla disabilità, che è prossimo alla morte. Non si tratta di sottovalutare la vita “durante”, ma anzi di fondarne solidamente la difesa e la promozione. Non si tratta di chiudersi in una trincea, ma, anzi, di «penetrare come un lievito nella pasta in tutte le culture e animarle perché esprimano l’intera verità sull’uomo e sulla vita». Il punto di partenza è il riconoscimento del concepito come uno di noi. Su questa strada anche i diritti dell’uomo diventano veri». Tre decenni dopo pare che - con la diffusione dell’aborto chimico e i casi di suicidio assistito - anche in Italia più che il Vangelo della Vita ad essersi diffusa sia la «cultura di morte», non trova? «È vero, ma che sia proprio anche perché non siamo stati all’altezza del compito affidatoci da San Giovanni Paolo II con l’Evangelium Vitae? Non dimentichiamo che proprio l’Evangelium Vitae contiene un appello  rivolto a tutti, “nessuno escluso”, ad una “mobilitazione generale” per costruire «tutti insieme una nuova cultura della vita» che parta dallo sguardo sul più povero dei poveri – il bambino concepito, simbolo di ogni ultimità – per costruire la civiltà della verità e dell’amore. È vero anche che a fronte di un evidente allargamento della cultura dello scarto, silenziosamente cresce la cultura della vita. La storia insegna che i tempi affinché intere categorie di esseri umani siano sottratte ad una condizione che li relegava al livello delle cose – si pensi per esempio alla schiavitù come acquisito istituto giuridico – sono lunghissimi. Perciò non solo non dobbiamo assuefarci, ma dobbiamo neanche rassegnarci. Proprio Giovanni Paolo II ci ha insegnato il “metodo” della “franchezza e amore” e della “tenacia operosa”». Siamo nel Giubileo della Speranza. Quale speranza permea quell’enciclica? «Della“speranza che non delude” e che implica la fiducia che la vittoria finale sarà della cultura della vita. Tutta l’Evangelium vitae si può leggere in questa luce. Un passaggio per tutti: «i segni anticipatori di questa vittoria non mancano nelle nostre società e culture, pur così fortemente segnate dalla cultura della morte. Si darebbe dunque un'immagine unilaterale, che potrebbe indurre a uno sterile scoraggiamento, se alla denuncia delle minacce alla vita non si accompagnasse la presentazione dei segni positivi operanti nell'attuale situazione dell'umanità». C’è poi un “pressante invito” al “popolo della vita e per la vita”, «perché, insieme, possiamo dare a questo nostro mondo nuovi segni di speranza, operando affinché crescano giustizia e solidarietà e si affermi una nuova cultura della vita umana, per l'edificazione di un'autentica civiltà della verità e dell'amore». (Foto: Imagoeconomica) ABBONATI ORA ALLA RIVISTA

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