Il 25 maggio si è completato con gli ultimi 307 soldati lo scambio “mille per mille” dei prigionieri di guerra di Russia e Ucraina. Questo scambio rappresenta l’unico risultato concreto dell’ultimo incontro an Istanbul, il primo diretto tra le delegazioni di Kiev e Mosca dal marzo 2022. Di fatto cosa è cambiato? Niente, «perché per il resto è guerra come sempre, anzi: più di prima», scrive il giornalista Fulvio Scaglione. Così mentre Zelensky rassicura che i contatti diplomatici proseguiranno e il ministro degli Esteri russo riferisce che sarà preparato un trattato di pace affidabile, Putin mettte in dubbio l’ipotesi di colloquio in Vaticano a metà giugno definendo «prematura» ogni anticipazione sull’eventuale sede. Intanto anche Trump appare scettico sulla reale volontà di Putin di fermare la guerra. Per vederci più chiaro Il Timone ha fatto riferimento a Fulvio Scaglione, giornalista esperto di geopolitica.
«Il negoziato che non c’è», questo il titolo dell’articolo in cui sostiene che non c’è nessuna trattativa in corso tra Russia e Ucraina perché in realtà sarebbero due le vere trattative in corso, ci spiega meglio?
«Secondo me esiste una trattativa tra gli Stati Uniti e l’Ucraina e una tra gli Stati Uniti e la Russia. Solo se e quando entrambe produrranno i risultati che tutti i protagonisti desiderano potrà cominciare una trattativa tra Ucraina e Russia. Al momento non sono d’accordo su niente. Tutto ciò che abbiamo visto su Istanbul e dintorni è “messa in scena diplomatica”. La sostanza è che quando si sono incontrati l’ultima volta an Istanbul Russia e Ucraina si sono ritrovati dove erano nel 2022 poche settimane dopo l’inizio dell’invasione russa. I russi chiedono oggi le stesse cose di allora (Ucraina neutrale, fuori dalla Nato, con un esercito depotenziato, dei territori occupati - allora soprattutto la Crimea - si sarebbe parlato solo in seguito). Punti inaccettabili per l’Ucraina, allora come adesso e irrinunciabili per la Russia, allora come adesso. In questo stallo, alimentato da tanti fattori - per esempio che la Russia è riuscita a resistere a tutte le sanzioni o che l’Ucraina è stata armata e finanziata dagli Stati Uniti e dai Paesi europei - l’unica novità è Trump. Che ha deciso che la guerra va interrotta, secondo la visione “mercantile” che ha della politica. Non è né nemico della Russia né particolarmente amico dell’Ucraina, ma per lui rappresentano un algoritmo da risolvere. Lui ha capito che per spingere i due Paesi a trattare bisogna proporre a entrambe qualcosa di attrattivo. L’Ucraina vuole dagli Stati Uniti le “garanzie di sicurezza”, cioè la promessa che i russi non tenteranno mai più una cosa simile. In qualche modo con l’accordo sulle terre rare l’ha anche ottenuto. Alla Russia stanno facendo balenare la possibilità di alleviare le sanzioni e di reinserirla almeno in parte nei circuiti economici occidentali. Ma allora perché Trump ieri ha scritto che «Putin è impazzito e Zelensky tutte le volte che apre bocca causa problemi"?».
Esattamente. Trump che sin dalla campagna elettorale ha ribadito che avrebbe fatto di tutto per la pace in Ucraina appare ultimamente un po’ frustrato…
«Appare frustrato perché la situazione non va avanti come vorrebbe lui, perché le cose che lui offre sono di certo allettanti ma non sono abbastanza. Zelensky dopo oltre tre anni di guerra, morti, eccetera, non può presentarsi agli ucraini e dire «morti, lutti, distruzioni ma abbiamo ottenuto un trattato con gli americani». Lui deve poter giustificare tutte le sofferenze di questi anni. Putin non può accontentarsi perché ha iniziato la guerra come la fece in Georgia per affermare il principio che la Nato o un regime filo-nato in quei Paesi non ci può stare. E quindi ha bisogno di avere questa garanzia, che possa far dire al suo sistema di potere «abbiamo ottenuto che la Nato in Ucraina non c’è». Il modo in cui potrebbe avvenire non possiamo saperlo. Ma finché queste condizioni non saranno soddisfatte secondo me non ci sarà nessun vero negoziato».
Se fallisse lui lei sa individuare altre possibilità per fermare la guerra?
«Ho qualche dubbio che Trump possa sfilarsi dalla situazione. Perché gli Stati Uniti non possono disimpegnarsi così tanto, abbandonare l’Ucraina vorrebbe dire scuotere i presupposti dell’allargamento della Nato. In qualche modo indebolire la posizione di Paesi come la Moldavia, la Romania… aprire un buco nero nel cuore dell’Europa, non credo che se lo possa permettere. Anche perché se avesse voluto farlo, anche nei confronti della Russia, avrebbe potuto farlo. Se all’Ucraina gli togli i satelliti di Musk e l’intelligence americana gli togli tanto fiato. Con la Russia Trump potrebbe aggregarsi all’Europa nel discorso delle sanzioni, ma non l’ha fatto e non lo fa. Anzi, nel G7 si è pronunciato contro. Questo dimostra che Trump è sì frustrato, ma per lui uscire da questo fronte è molto complicato. Anche se magari avrebbe anche voglia di farlo…».
Invece, dato che la proposta di mediazione avanzata da papa Leone XIV sembra essere stata rifiutata dalla Russia, che ruolo può ancora giocare la Santa Sede?
«Intanto dobbiamo prendere atto di una cosa. Papa Leone si è in qualche modo impegnato più direttamente perché ha offerto il Vaticano. Mentre papa Francesco non era arrivato a tanto, pur avendo inviato il cardinale Zuppi. E questo è un fatto di cui bisogna tenere conto. Poi però personalmente io non credo che Russia e Ucraina possano andare ad accordarsi in Vaticano per il semplice fatto che entrambi i Paesi hanno delle chiese ortodosse molto importanti. La Russia con la Chiesa ortodossa russa e il patriarca Kirill, che è di fatto un agitatore pro-Putin e che sicuramente non avrebbe avuto piacere che si mettesse di mezzo il Vaticano. Sono convinto che prima di “umiliare”, passatemi il termine, un alleato importante come la Chiesa ortodossa Putin ci avrebbe pensato molto e bene. Un discorso analogo si piò fare per l’Ucraina. Nel 2018, poco prima di perdere le elezioni con Zelensky, il presidente Poroshenko aveva fatto nascere una Chiesa ortodossa proprio in funzione anti-Russia, sulla base del suo programma politico: “Fede, esercito e lingua”. Poi è arrivato Zelensky, che ha ottenuto la presidenza su una piattaforma opposta alla sua e - da ebreo sposato con una cristiana - affermava che la fede è un fatto personale. Tuttavia, nel momento poi dell’invasione russa ha perseguito la stessa strada di Poroshenko. Nel 2024 è arrivato a mettere al bando la Chiesa ortodossa russa, tuttora diffusissima in Ucraina. In queste condizioni, che due Paesi dove le rispettive Chiese contano così tanto anche dal punto di visita politico la vedo difficile che vadano a “gratificare” il Vaticano…».
Un’ultima domanda: l’Europa che lavora per il riarmo ha forse ragione o ha solo delle ragioni di interesse economico o sta solo cercando di nascondere un fallimento?
«Un po’ tutte queste cose. L’Europa ha fatto una scelta sbagliata dall’inizio. Uso una metafora. L’invasione della Russia ha di certo acceso un conflitto nel cuore dell’Europa, non in senso comunitario ma continentale. E tutti i dirigenti europei erano d’accordo nel dire che la guerra era in Europa. Ma la domanda è: se c’è un incendio in casa ci si preoccupa prima di spegnere il fuoco o di trovare il colpevole? Ecco l’Europa ha scelto di dare la caccia al colpevole, cercando di sconfiggere la Russia sul campo con la strategia delle sanzioni. Così l’incendio ha continuato a divampare e non si è più riusciti a spegnerlo. A questo punto spegnerlo è molto difficile visto che la Russia non è crollata ed è ancora in vantaggio sul campo di battaglia. Ha anche scoperto di avere parecchi amici in giro per il mondo. Non ha così particolare interesse a chiudere la faccenda. Secondo me il progetto di riarmo serve sia a far ripartire in qualche modo l’industria europea - in particolare quella tedesca che era l’economia trainante del continente ed è quella uscita più devastata dalle scelte fatte in questo periodo. Poi nascondere gli errori strategici che sono stati fatti e, secondo me, considerati tutti gli scossoni che l’Unione europea sta prendendo in Romania, in Francia, in Germania, eccetera, c’è anche il tentativo di tenere i cittadini sotto pressione spaventandoli con l’ipotesi di una guerra alle porte, cioè dell’invasione russa - questo è quello che viene raccontato. In forma metaforica è «dobbiamo comprare tutte queste armi perché altrimenti i russi ci invadono». Credo che questa narrazione serva a mantenere la gente spaventata e quindi più facile da governare. Ai miei occhi, l’ipotesi che la Russia, sempre se riesce a ottenere i suoi scopi in Ucraina, si lanci poi in uno scontro armato contro l’Europa, che vuol dire contro la Nato, e quindi anche contro gli Stati Uniti a me sembra davvero poco credibile. Ci vogliono molta ingenuità e molta paura». (Foto: Imagoeconomica/Facebook)
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