Giovedì 23 Ottobre 2025

Ddl "suicidio assistito" e il contributo dei cattolici

Ci scrive l’avvocato Domenico Menorello, membro del Comitato nazionale di bioetica e promotore del network “Sui tetti”: «Francamente appaiono assai ingenerosi gli strali che si leggono sbrigativamente riassumendo la proposta di legge in discussione come “legge sul suicidio assistito”»

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo un contributo dell’avvocato Domenico Menorello, membro del Comitato nazionale di bioetica e promotore del network “Sui tetti”. Si tratta di un ulteriore contributo al dibattito in corso in merito al ddl sul c.d. “fine vita”. È una questione di tale portata a cui volentieri prestiamo le nostre pagine on line e nei prossimi giorni daremo spazio ad eventuali altri pareri. Dal nostro punto di vista resta fermo quanto indicato nella Dichiarazione Samaritanus Bonus della Congregazione per la Dottrina della Fede (oggi Dicastero) del 2020: «Quand’anche la domanda di eutanasia nasca da un’angoscia e da una disperazione, e “benché in casi del genere la responsabilità personale possa esser diminuita o perfino non sussistere, tuttavia l’errore di giudizio della coscienza – fosse pure in buona fede – non modifica la natura dell’atto omicida, che in sé rimane sempre inammissibile” [(Iura et Bona, II)]. Lo stesso dicasi per il suicidio assistito. Tali pratiche non sono mai un autentico aiuto al malato, ma un aiuto a morire». (Samaritanus bonus, V.1; nello stesso senso anche Dichiarazione Dignitas Infinita, 51 ss). Abbiamo qui citato documenti del magistero della Chiesa, ma resta chiaro che il principio di indisponibilità della vita umana è verità di ragione e non solo di fede. (Lorenzo Bertocchi) * Le commissioni riunite Giustizia e Sanità del Senato il 2 luglio 2025 hanno adottato un testo base sulla materia del c.d. “fine vita” (cfr. pp. 58-59 relativi atti parlamentari), sul quale si sta svolgendo un’interessante e ampia riflessione anche nel laicato cattolico. In tale contesto, Tommaso Scandroglio ha pubblicato un articolo su La Nuova bussola quotidiana dell’11 luglio 2025, in cui ha criticato il tentativo di una riflessione da me svolta a proposito di tale testo base, ospitata su Avvenire. Questa mia ulteriore riflessione è l’occasione per provare a proseguire nel dialogo in corso, premettendo che è facile trovare un punto in comune: la vita è data e, quindi, non è disponibile. Inoltre, il principale tratto dell’umano è una domanda di un significato assoluto, che abbraccia e oltrepassa la propria materialità e la propria misura, il che rende irragionevoli e gravemente errate tutte quelle pretese di disporne da parte del potere, sia legislativo che giudiziario, che si susseguono da anni. La stessa natura umana, rilucendo oltre sé stessa in ogni circostanza, chiede, piuttosto, una continua “rivoluzione della cura” (cfr. Leone XIV, 10 luglio 2025, Messaggio per la V giornata dei nonni e degli anziani). Dobbiamo, poi, ribadire che ai laici è chiesto di essere consapevoli e attivi rispetto anche alla vita pubblica, fermo restando che la responsabilità delle scelte legislative e giudiziarie rimane dei rispettivi decisori. Un ddl per contrastare la possibilità del suicidio assistito Veniamo alle critiche. Scandroglio nel citato articolo evidenzia che “è dovere morale del parlamentare vietare il suicidio assistito. Una legge che invece esprimesse la volontà di non proibire l’aiuto al suicidio e che quindi permettesse l’aiuto al suicidio è una legge intrinsecamente ingiusta proprio perché viene meno al dovere morale di proteggere la vita delle persone innocenti. Configurerebbe quindi una condotta omissiva moralmente illecita. In sintesi: votare questo Ddl è un’azione moralmente illecita e parimenti appoggiarlo in qualsiasi modo, con la penna o la parola.” Però, non capisco - certamente per mio difetto - dove “questo ddl” avrebbe tali caratteristiche. Al contrario, al proposto art. 4, c. 1, n. 2), si legge - proprio come auspicato da Scandroglio, un - si badi bene! – espresso divieto al Servizio Sanitario Nazionale di fornire prestazioni di assistenza al suicidio. Tale prospettiva sembra molto coerente con Evangelium vitae, par. 4, che stigmatizza massimamente la pretesa di disporre della vita fragile “con l'intervento gratuito delle strutture sanitarie”. Né trovo norme che permettano, sul piano giuridico, l’aiuto al suicidio, che anzi, all’art. 1, comma 2, viene catalogato in via generale come un atto illecito, giacché si dispone la nullità degli effetti anche civili e amministrativi di qualsiasi atto che non sia finalizzato alla cura (e certo l’aiuto al suicidio di un malato non lo è!). Tali possibili norme non appaiono dunque finalizzate a “permettere il suicidio” come ritiene Scandroglio, ma anzi alla protezione della vita. Sono forse ingiuste? E si può dire che non sia per la tutela della vita anche l’art. 1, comma 1, dove ribadisce nettamente, recuperando terreno sulla legge 219/17, che la Repubblica ha sempre il dovere di assicurare la cura? Similmente, si possono considerare ingiuste le ipotizzate disposizioni dell’art. 3, che puntano con molta forza a costringere finalmente le Regioni ad assicurare a tutti proprio la cura del dolore? Quindi, se, come insegna Tommaso D’Aquino, un precetto pubblico indica e condiziona la società verso un “bene”, nei casi ora indicati quel “bene” è la cura della vita fragile. Alla luce di tali tratti del testo-base, francamente appaiono assai ingenerosi gli strali che si leggono sbrigativamente riassumendo detta proposta come “legge sul suicidio assistito”, giacché nei passi indicati essa è piuttosto orientata a contrastare tale grave possibilità. Rimangono altre due (proposte) disposizioni nel testo base, che contengono certamente aspetti meno lineari. Requisiti più circoscritti La prima é l’art. 2, che si riferisce al contenuto essenziale della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019, che, come noto, ha già annullato l’art. 580 c.p. nella sola parte in cui l’aiuto al suicidio avviene in condizioni estreme, all’uopo avendo indicato alcuni requisiti. Premesso che chi scrive non condivide detta sentenza, non si dimentichi sia che, trattandosi di pronuncia costituzionale, essa ha già avuto effetti con l’immediata eliminazione in parte qua dell’art. 580 cp, sia che è un vincolo ineludibile, almeno allo stato, per il legislatore, al quale rimane solo lo spazio di definire i requisiti di tale cogente sentenza riducendo il perimetro della non punibilità, come in affetti viene proposto. Ma davvero serve, allora, che si preveda un caso di non applicazione della pena, se esso è stato già introdotto per via giudiziaria nell’ordinamento? Come più volte documentato (cfr. www.suitetti.org), i requisiti indicati dalla Corte, specie quelli sulla “patologia irreversibile” e sui “trattamenti di sostegno vitale”, sono stati allargati a dismisura dai giudici di merito e dalle eterogenee decisioni delle Regioni e delle unità sanitarie locali, cosicché se essi non vengono definiti dal legislatore nei residui spazi normativi che gli rimangono, l’aggressione alla vita dei più fragili in tutto il territorio nazionale continuerebbe in senso esponenziale. Di qui, il testo base definisce in senso più circoscritto detti requisiti, riportando, probabilmente, le ipotesi più vicino a casi di accanimento terapeutico. Dunque, a fronte di un vincolo cogente della sentenza sull’area di non punibilità di un gesto volontario, l’intervento normativo ne ridurrebbe la portata. In ogni caso, dobbiamo ricordare che anche l’Evangelium vitae, al par. 19, consente di considerare casi umanamente molto difficili attenuando “anche notevolmente la responsabilità soggettiva e la conseguente colpevolezza”. Sotto questo profilo, nella formula di mera esclusione dalla pena ipotizzata nel testo-base (che magari potrebbe venire anche affinata nel prosieguo) il gesto dell’aiuto al suicidio rimarrebbe astrattamente sempre un reato, cui solo in eccezionali casi seguirebbero conseguenze attenuate non applicandosi la reclusione. Altresì, detto gesto, non solo rimane di per sé un delitto, ma viene anche, sempre ed esplicitamente, comunque ritenuto un atto illecito, ai sensi dell’art. 1, comma 2. Dunque, stanti i vincoli di rango costituzionale introdotti dalla sentenza 242/2019, non appare come un’ipotesi irragionevole, perché proteggerebbe la vita più di quanto avverrebbe in assenza di detta nuova disposizione, realizzando peraltro un caso di attenuazione della responsabilità non ignorato dal Magistero, ma ribadendo l’illiceità del gesto. Il Comitato di valutazione In secondo luogo, rimane da guardare la previsione, introdotta all’art. 4, comma 1, n. 1), di un organo che valuterebbe la presenza dei requisiti in presenza dei quali all’atto illecito non seguirebbe la reclusione. Si tratta di un passaggio delicato da giudicare, perché anche se è una mera valutazione e non la prestazione, che rimane eventuale e che - come detto - viene dal testo base ritenuta illecita nonché del tutto vietata in capo al SSN, non vi è dubbio che la stessa, nella prospettazione del richiedente, é finalizzata a un esito gravemente sbagliato, quale è il suicidio. Ricordiamo ora che, anche in questo caso, siamo di fronte a un elemento vincolante della sentenza n. 242/19, che ha ritenuto essenziale la verifica da parte di un organo pubblico di tali requisiti per la eccezionale non applicazione della pena, intendendo assolutamente evitare l’ipotesi di pericolosi “autoaccertamenti” degli stessi. Quindi, qual è la situazione normativa esistente? Essa è costituita almeno da una zona di non applicazione della pena ex 580 cp e dalla conseguentemente ritenuta (dalla Corte) necessità che un “terzo” verifichi i requisiti posti per tale eventualità Ebbene, al netto di altre criticità circa la formazione dell’organo ipotizzato dal testo-base che non rilevano ai fini dell’attuale scrutinio, rispetto alla situazione normativa in essere, la proposta ridurrebbe il perimetro in cui tale valutazione può accadere, avendo ridefinito i requisiti da valutare, nonché intende evitare che vi sia una disomogenea considerazione di tali requisiti nel territorio nazionale. Inoltre, chiede al nuovo organo anche di verificare che vi sia stata una effettiva offerta preventiva di cure palliative, che è un aspetto a favore della tutela della vita e che, allo stato, nella prassi non viene considerata. Va, poi, osservato che la attuale proposta prevede che tale valutazione non realizzi affatto una sorta di “salvacondotto” preventivo, ma sia solo un “parere”; dunque, non vincolante rispetto al giudizio che comunque spetta all’autorità penale nel caso in cui il suicidio avvenga effettivamente. Dunque, premesso che, nella situazione data, non appare possibile rimuovere il nocciolo dispositivo minimo dei vincoli suddetti posti dalla Corte costituzionale (che non si condividono), e in particolare della valutazione dei requisiti di esclusione della reclusione per l’aiuto al suicidio, quanto previsto dal testo base ne diminuisce oggettivamente la portata. L’ipotesi sembra così corrispondere a quel passo del par. 73 della EV, secondo cui “quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente” una disposizione negativa (nel caso addirittura di rango “costituzionale” come la sentenza 242/19 nei passi detti), “un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione … fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale disposizione e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui”. In conclusione Pertanto, ribadita l’opposizione alla pretesa che accade in Italia da alcuni anni di disporre della vita, avvenuta con leggi e sentenze negative, in ordine al testo base sul c.d. fine vita proposto da ultimo al Senato esso, per qual che è dato comprendere, rispetto alle disposizioni di cui agli artt. 1, c. 1, 1, c. 2, 2, 3 e 4, n. 2, appare conforme al magistero. Per quanto, concerne invece la previsione dell’art. 4, comma 1 (ma ciò può valere, al più, anche per l’art. 2 se non si condivide l’inserimento nella precedente categoria) essa riduce la negatività derivata dell’attività da parte di un ente pubblico introdotta in modo allo stato vincolante dalla sentenza 242/19 della Consulta. Dunque, se, ferme restando le diverse responsabilità dei decisori, come laici siamo chiamati a provare a giudicare i fatti più importanti che riguardano la cosa pubblica, il dialogo è una dinamica di grande utilità tanto per aiutarci a sostenere una posizione di bene, quanto anche per non giudicare in base a preconcetti che prescindano dal dato reale e testuale, il che ci potrebbe indurre a diminuire il nostro possibile apporto a una costruttività per il bene nelle scelte pubbliche, specie nel probabile caso di prossima emergenza parlamentare, che, per effetto del regolamento del Senato, potrebbe altrimenti condurre nelle prossime settimane o mesi l’aula ad esprimersi - nelle attuali condizioni di pressione massmediatica e culturale iperindividualista - su altri testi, in cui si introdurrebbe la prestazione di aiuto alla morte di un malato per mano del servizio sanitario pubblico. *Componente Comitato nazionale per la Bioetica - Promotore network Ditelo sui tetti (Foto Imagoeconomica)

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