Lunedì 27 Ottobre 2025

La lezione di San Francesco: «Mai poveri con Dio»

Dialogo con il cardinale Angelo Comastri: «La povertà di Francesco non è disprezzo delle cose del mondo, ma è conseguenza della scoperta della vera ricchezza»

comastri san francesco
M’incontro con il cardinal Angelo Comastri in Vaticano e sono accompagnato dai miei genitori, Teresa e Francesco, che desideravano salutare Sua Eminenza. Visto il nome di mio padre iniziamo a discorrere del Santo d’Assisi e della sua opera: «Il cuore del francescanesimo – mi spiega il Presule seduto davanti a me – non è la povertà, ma è l’umiltà, perché la prima falsa ricchezza da buttar via è l’orgoglio. Il resto è di conseguenza, infatti uno può farsi povero anche soltanto per esibizione». Questo concetto era già presente nel libro del Cardinale intitolato Francesco d’Assisi. L’utopia è possibile! (San Paolo, 2024), dove si legge: «Francesco ci ha lasciato pochi scritti: egli si riconosceva illetterato e voleva vivere nell’umiltà totale. Nel Saluto alle virtù (FF 256-258) impressiona l’accostamento della povertà all’umiltà: per Francesco non si è poveri veramente se non si è poveri di orgoglio. L’orgoglio, infatti, è la più terribile e perniciosa e falsa ricchezza, alla quale l’uomo può facilmente attaccarsi». Ripercorro con Sua Eminenza la figura dell’Assisiate proprio nell’anno in cui si ricordano gli ottocento anni dalla composizione del Cantico delle Creature: «La vita del Poverello di Assisi è stata un canto: un canto di lode a Dio, un canto d’amore per il prossimo, un canto di riconoscenza per la gioia di vivere, un canto di ammirazione per le meraviglie della creazione uscita bella dalle mani del Creatore». L’amore francescano non è frutto di un vago o esaltato ecologismo, ma si origina unicamente dall’amore incommensurabile verso il Signore del cielo e della terra: «Immaginiamo di vedere quest’uomo ancora giovane, ma consumato come una candela che ha dato luce a tutti senza nulla chiedere; immaginiamo di vedere le ferite della passione di Cristo sanguinanti nelle sue mani, nei suoi piedi e nel suo petto; immaginiamo di vedere i suoi occhi chiusi per evitare la ferita della luce…! Egli improvvisamente esclama con la voce limpida di un bimbo: Altissimo, onnipotente e buon Signore / A te appartiene ogni lode e ogni benedizione!». E prosegue il Presule: «Proprio nell’ultimo periodo della sua vita, quando il corpo soffriva per le malattie, l’anima era provata da tanti dispiaceri e gli occhi non vedevano più il sole, la luna e i fiori… dal cuore di Francesco esce il canto più bello: il canto che è una delle vette più alte della spiritualità umana di tutti i tempi». Quando il Cantico pare concluso il Poverello aggiunge la menzione del perdono nella strofa delle tribolazioni e quella in cui riflette sulla morte: «Sì, Francesco – mi viene spiegato – improvvisò una nuova strofa in onore di sorella morte: con questa il Cantico era completo. L’altro verso è inserito quando, tornando da Siena ad Assisi, è accolto dal vescovo nella sua casa e Francesco accetta volentieri, ma una notizia ferisce il suo cuore: il vescovo e il podestà di Assisi sono arrivati allo scontro. L’odio! Francesco trema quando sente pronunciare questa parola, che porta con sé il fetore di satana: satana, infatti, è il seminatore di odio così come Dio è il seminatore d’amore. Che fare? Francesco non può fingere di non sapere e vuole a tutti i costi rimetterli in pace. Ripensa al canto che aveva composto per lodare l’Altissimo e aggiunge un nuovo motivo di lode: Sii lodato, o mio Signore, / per quelli che perdonano per amore tuo! / Beati quelli che fanno così perché da te / saranno incoronati come vincitori. Poi Francesco chiama uno dei suoi fraticelli, e, pieno di fiducia, gli dice di invitare il podestà ad andare nel grande chiostro del vescovado. L’atmosfera è tesa e nessuno si azzarda a fare il primo passo. Allora due fraticelli si fanno avanti e uno, con tanta umiltà, dice: “Francesco durante la sua infermità ha composto le Laudi del Signore. Vi preghiamo di ascoltarle con devozione: è Francesco che ve le consegna come semi affinché portino frutto”. E cominciano a cantare: il canto entra nel cuore di tutti e smorza la tensione e accende uno struggente desiderio di bontà e un irrefrenabile bisogno di pace. Quando i fraticelli cantano: “Sii lodato, o mio Signore, per quelli che perdonano, perché da te saranno incoronati come vincitori”, il podestà non riesce a trattenersi e corre tra le braccia del vescovo e, davanti a tutti, dichiara tra le lacrime: “Sono pronto a perdonare non solo il vescovo, ma chiunque mi abbia fatto qualsiasi male”. Il vescovo a sua volta, travolto dall’inatteso e improvviso gesto di bontà, dichiara a gran voce: “Io dovevo correre per primo ad abbracciarti. Purtroppo ho un temperamento portato all’ira! Ti prego: perdonami, perdonami!”. E tutti i presenti esclamarono: “Ancora una volta Francesco ci ha insegnato il Vangelo!”». A questo punto possiamo chiederci: ma qual è il messaggio che Francesco lascia alla Chiesa? «È semplice e allo stesso tempo è formidabile: Francesco ci invita a prendere sul serio il Vangelo, a prendere sul serio Gesù, a prendere sul serio la via percorsa da Gesù… perché l’amore rende simili: l’amore genera l’imitazione! La lezione di Francesco sta tutta qui». Parole semplici e disarmanti insieme, quelle di Sua Eminenza, che fanno riflettere, dove tutto appare possibile nella carità, anche se attraversa una vita di rinunce: «L’esperienza di Dio come “sommo amore – sommo bene – tutto il bene” produce in Francesco l’inevitabile conseguenza della libertà della povertà: sia ben chiaro che la povertà di Francesco non è disprezzo delle cose del mondo (tutt’altro!), ma è conseguenza della scoperta della vera ricchezza del vero tesoro della vita: che è Dio fatto a noi vicino in Gesù e avvicinabile in Gesù. Quanto è importante capire questo! L’attaccamento fortissimo alla povertà è per Francesco il modo di esprimere la convinzione fortissima che Dio è “il sommo bene – tutto il bene”. Ma se Dio non è percepito come il “sommo bene”, la povertà è impossibile… perché il cuore va comunque riempito. Questo è terribilmente vero e l’esperienza lo dimostra abbondantemente». Rifletto e mi vien da dire che chi ama la povertà (nei proclami) non la esercita (non avendone esperienza): «È importante precisare che la povertà di Francesco non è una povertà polemica: non è una povertà contro qualcuno o per contestare qualcuno. La povertà di Francesco è conseguenza della ricchezza scoperta in Gesù: per questo sarà sempre una povertà lieta, una povertà umile, una povertà obbediente. Nell’esperienza di Francesco la povertà e l’umiltà si sovrappongono, come abbiamo già detto. Infatti la familiarità con il mistero di Dio fatto a noi vicino e da noi avvicinabile in Gesù, svela a Francesco una caratteristica sconvolgente e irrinunciabile di Dio: l’umiltà. Sì, Dio è umile! Da Betlemme al Calvario tutto parla dell’umiltà di Dio. E Francesco, nella coerenza della fede, ha il coraggio di rivolgersi così a Dio: “Tu sei umiltà!”. E, di conseguenza, si butta nell’umiltà per essere in comunione con Dio e prova orrore della superbia e della disobbedienza, pessima figlia della superbia». È tempo di congedarsi dal saggio Pastore sempre prodigo di spirituali parole, il quale mi indica ancora un esempio vivente della spiritualità francescana: «Padre Pio, per esempio, è un vero francescano. Era un uomo umile e povero, dove la prima prova della sua povertà è essere stato umile!». Prima degli affettuosi saluti rilancio con una provocazione: l’utopia francescana è, dunque, possibile? «– è la risposta – e resta questa: vivere il Vangelo di Gesù alla lettera! E tale utopia ritorna come una sfida in ogni generazione cristiana e la interpella: Dio ha suscitato il francescanesimo proprio per questo!». Per un salutare approfondimento, si rimanda all’agile volume del cardinal Angelo Comastri, Francesco d’Assisi. L’utopia è possibile!

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