Per non restare a piedi. Quello che non vi dicono sull’auto elettrica
Il nuovo libro di Sergio Giraldo, giornalista e analista esperto di energia, che affronta il caso dell’auto a batteria dai limiti del sistema di ricarica all’impatto sui lavoratori dell’Occidente industrializzato, dai costi alle influenze sulle reti elettriche, dalla privacy alla sicurezza
Esce in libreria il 16 settembre il nuovo libro di Sergio Giraldo, "Per non restare a piedi. Quello che non vi dicono sull’auto elettrica e la crisi dell’automotive" (Ed. Il Timone). Il libro è già disponibile da oggi nel nostro store on-line. Di seguito pubblichiamo un breve stralcio.
*
L’auto a batteria non è esattamente una cosa nuova e ci siamo arrivati non tanto per via dello sviluppo tecnologico, quanto per una decisione tesa a orientare la storia. L’idea di cambiare il corso degli eventi si applica oggi molto meno ai rapporti sociali e molto più alla tecnologia. Ma, in questo caso, la scelta di un mezzo tecnologico come l’auto elettrica ha motivazioni e impatti sociali. «Dio è morto, Marx pure, e anche io non mi sento molto bene» non è solo una sagace battuta (di Eugène Ionesco, non di Woody Allen). È anche l’affermazione che le azioni dell’uomo nella storia ora si esercitano in un campo diverso, quello della tecnologia, ed è la tecnologia ad alterare i rapporti sociali.
L’auto elettrica compare ai primi del Novecento come prodotto che cerca di soddisfare un bisogno: la mobilità individuale. Ma scompare dall’orizzonte dell’utilità quando il motore a scoppio alimentato a benzina si dimostra migliore in tutto, dai costi alla praticità, dall’autonomia all’affidabilità. Oggi l’auto elettrica ricompare sulla scena non perché sia migliore nel soddisfare il bisogno della mobilità, bensì perché si è deciso di sopprimere l’auto con il motore a combustione interna.
Una decisione che utilizza il viatico degli accordi di Parigi del 2015 come strumento per imporre una svolta tecnologica obbligata. Una svolta che in realtà assomiglia assai a un tornante, imposto dal blocco politico-finanziario-industriale tedesco di fronte alla crisi del suo settore automobilistico. Si tratta di un intervento che sovverte il corso del progresso tecnologico come lo immaginiamo, giacché per imporsi l’auto elettrica ha bisogno del divieto di circolazione delle altre tecnologie e di sussidi statali. L’auto elettrica viene imposta, non si impone. Viene pretesa nonostante gli oggettivi problemi che questa comporta, dai limiti del sistema di ricarica all’impatto sui lavoratori dell’Occidente industrializzato, dai costi alle influenze sulle reti elettriche (trascuratissime), dalla privacy alla sicurezza. […]
Nei fatti, il passaggio all’auto elettrica si sta traducendo in un rimescolamento delle carte dello sviluppo industriale. Le case automobilistiche occidentali hanno perso la loro capacità di guidare il settore e ora devono abbozzare, cercando accordi con l’industria cinese, mentre Pechino osserva l’aumento dell’influenza della propria industria nel mondo. […] È chiaro che è necessario trovare un equilibrio tra tante esigenze diverse. Ma da tempo ormai organismi sovranazionali politicamente irresponsabili e asseritamente tecnici sono passati da regolare il mercato a regolare la vita delle persone. In questo delicato passaggio sta il problema dell’auto elettrica. Perché l’automobile, piaccia o non piaccia, è il veicolo sul quale viaggia una parte importante della nostra libertà. E non vogliamo restare a piedi.