Sono passati 25 anni dalla pubblicazione della Dominus Iesus, dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il 2000, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, era l'anno del Grande Giubileo e la Giornata Mondiale della Gioventù aveva come tema l'evento salvifico dell'Incarnazione, un tempo e un luogo precisi in cui Dio è entrato nella storia per abitarla pienamente fino alla fine dei tempi: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". La dichiarazione Dominus Iesus mette al centro proprio questo, la centralità, universalità e unicità salvifica di Gesù Cristo e della sua unica Chiesa. Lo faceva in tempi già profondamente segnati dal relativismo, il cui attacco fondamentale consiste nel non credere più alla verità, ma a tante verità equivalenti. In una recente intervista rilasciata alla rivista teologica internazionale Communio, il cardinale Kurt Koch, Presidente del Dicastero per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, ne ripercorre i contenuti fondamentali e ne ribadisce l'attualità.
Ora più che 25 anni fa ci troviamo in un contesto globale segnato dalla secolarizzazione e dal pluralismo religioso. La Chiesa non smette, dunque, di proclamare che la salvezza viene solo da Cristo e dalla Chiesa e, sebbene il mondo tenda a rifiutare questa esclusività, è proprio in essa che risiede la certezza che siamo stati redenti. Il cardinale tedesco ripercorre la storia dell'accoglienza e delle incomprensioni che ottenne la dichiarazione, sottolineando quanto invece essa ponga al centro Cristo e quanto proprio la centralità dell'unico fatto salvifico permetta un vero dialogo interreligioso. "L'intenzione principale di Papa Giovanni Paolo II era quella di fare una chiara confessione di fede in Gesù Cristo a metà dell'Anno Santo 2000. Tuttavia, questa parte del documento ha ricevuto poca attenzione alle nostre latitudini. La sezione sulla Chiesa nella "Dominus Iesus" ha ricevuto particolare attenzione. Ha suscitato forti reazioni nel dialogo ecumenico. (...) Questa dimensione cristologica della dichiarazione, tuttavia, è stata ampiamente trascurata nella ricezione ed è passata in secondo piano. L'accoglienza ecumenica ha preso il sopravvento".Korch, che al Timone - qui per abbonarsi- ha rilasciato un'intervista esclusiva, nota anche come, chi difende le verità dogmatiche della fede sia spesso assai più dialogante di chi, con paradossale assolutismo, ritiene che dogmi non ve ne debbano essere, e lo fa ricordando una frase di Chesterton:"Tutti gli uomini hanno dei dogmi; la differenza è solo che alcuni li conoscono e altri no". Una dinamica simile, potremmo osservare, avviene anche nelle ideologie attualmente imperanti (ma in crisi), che impongono l'inclusione, che predicano l'uguaglianza e l'amore e che, nei fatti, pretendono di imporre cosa si possa pensare e cosa no. Koch ha riconosciuto che il documento non ha sviluppato a sufficienza la dimensione dell'apertura alle altre comunità cristiane: "L'apertura alle altre Chiese avrebbe potuto essere maggiormente sottolineata. Giovanni Paolo II aveva già affermato in Ut unum sint che al di fuori della Chiesa cattolica non esiste un vuoto ecclesiale". Tuttavia, ha avvertito che la questione di fondo rimane ecclesiologica: «Esiste l'unica Chiesa di Gesù Cristo, e dove si trova? Per la Chiesa cattolica, sussiste al suo interno. Per altri, è invisibile o manifesta in ogni comunità. Questa è la domanda centrale che rimane aperta».In fondo, però, se il dispiacere di certi ambienti teologici era causato dalla chiarezza con la quale il documento ribadiva la centralità di Cristo e della salvezza che ha affidato alla sua chiesa, il problema non è tanto della Chiesa cattolica, che con quel documento ha detto soprattutto a sé stessa, ai suoi fedeli, cosa è assolutamente fondamentale nella fede di cui è maestra. ("...)non si sta sostenendo una vaga teoria secondo cui Gesù potrebbe essere il Signore. Piuttosto, i cristiani sono convinti che egli sia il Signore ." A partire da questa confessione si può costruire e cercare sinceramente un dialogo con chiunque, con la sincera disponibilità ad imparare dall'altro e a riconoscere le luci e i raggi di verità che pure attraversano le altre religioni. Le reazioni di venticinque anni fa sono state soprattutto intorno al valore della Chiesa cattolica e delle altre chiese, per certe correnti teologiche affini al protestantesimo tutte ugualmente manifestazioni visibili della chiesa invisibile, mentre per Giovanni Paolo II, che ha firmato il documento, pur non essendoci un vuoto ecclesiale al di fuori della Chiesa cattolica è in essa che sussiste l'unica Chiesa di Cristo.
Il caridnal Korch, leggiamo su Infocatolica ,che riporta ampia sintesi dell'intervista, ha menzionato anche il recente invito di Leone XIV a «recuperare il primato di Gesù Cristo nella predicazione", al quale egli stesso aderisce pienamente: "Sono in sintonia con questo orientamento e ringrazio il Papa per aver rimesso Cristo al centro". In questo senso, ha ritenuto urgente recuperare "la cristologia del cristianesimo, soprattutto quando solo un terzo dei credenti afferma che Dio si è rivelato in Gesù Cristo". Come proposta finale, ha sottolineato che l'imminente anniversario del Concilio di Nicea offre un'occasione significativa: "La sua confessione di fede unisce tutti i cristiani, perché ha avuto luogo prima delle divisioni che ne sono seguite". (...) "Sarebbe bello se tutte le Chiese potessero recitare insieme oggi questo Credo, per ravvivare il nucleo più profondo della nostra fede"». (Foto: Imagoeconomica)ABBONATI ORA ALLA RIVISTA!