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Hamas apre alla pace di Trump, rimpallo con Israele
Il movimento palestinese accetta il piano di pace di Trump, ma chiede nuove garanzie. Il presidente americano parla di “storico passo avanti”, Bibi evita lo scontro diretto. Per la prima volta da mesi, nessuno può dire che la guerra sia l’unica strada
04 Ottobre 2025 - 09:34

“Il movimento annuncia il suo accordo per il rilascio di tutti i prigionieri israeliani vivi e morti, in conformità con la formula di scambio contenuta nella proposta del presidente Trump”.
È bastata questa frase, nel lungo comunicato diffuso da Hamas su Telegram, per far intravedere — dopo un anno di macerie — la possibilità di una tregua.
A leggerla bene, però, la risposta del movimento islamista non è un “sì”. È un “sì, ma”.
Perché subito dopo, nel testo, Hamas precisa che lo scambio potrà avvenire solo “a condizione che siano soddisfatte le condizioni necessarie sul terreno”, e si dice disponibile ad “avviare immediatamente negoziati attraverso mediatori per discutere i dettagli di questo processo”. In altre parole: l’accordo è ancora tutto da scrivere.
Nonostante ciò, Donald Trump ha scelto di accettare quel “sì, ma” come se fosse un sì pieno. In pochi minuti ha pubblicato il comunicato integrale di Hamas e ha registrato un videomessaggio celebrando “l’inizio della pace”, chiedendo a Israele di sospendere i bombardamenti e spingendo per la liberazione immediata degli ostaggi.
Una mossa che ha colto di sorpresa Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano non ha concordato la linea, Trump ha imposto la sua narrativa: o accetti il piano e la tregua, o passi alla storia come l’uomo che ha sabotato la pace.
E infatti Netanyahu, interrotto perfino lo Shabbat, ha rotto il silenzio per dire: “Benissimo, siamo tutti d’accordo per il piano. Allora implementiamo la prima fase: liberiamo immediatamente gli ostaggi”.
Secondo fonti di governo, il premier israeliano avrebbe reagito con irritazione all’entusiasmo di Trump, definendo la risposta di Hamas “un no mascherato”. Ma in pubblico non può permettersi di sfidare la Casa Bianca, né di apparire come l’unico che vuole continuare la guerra.
E così Hamas ha passato il cerino agli americani, e Trump lo ha rispedito a Gerusalemme. Ora tocca di nuovo ai miliziani di Gaza dimostrare che il loro “sì, ma” non è solo una mossa tattica per guadagnare tempo.
L’organizzazione palestinese — che nel comunicato ha ringraziato “gli sforzi arabi, islamici e internazionali, così come gli sforzi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump” — spera di ottenere la liberazione di oltre duemila prigionieri palestinesi, di cui 250 condannati all’ergastolo. Ma rifiuta di parlare apertamente di disarmo o di rinuncia alla lotta armata. E teme, non a torto, che Israele possa colpire i suoi leader una volta chiuso il dossier.
Così, nel gioco del potere, ogni mossa vale doppio: Hamas gioca di astuzia, Trump gioca d’azzardo, Netanyahu gioca per sopravvivere politicamente.
È un equilibrio instabile, ma nuovo. Per la prima volta da mesi, nessuno può dire che la guerra sia l’unica strada.
Resta da capire se questo “sì, ma” sarà ricordato come il primo passo verso la pace o come l’ennesimo inganno di una guerra che non conosce tregua.