A Gaza sarà anche pace, ma qualcuno non si dà tregua. Dalla Marcia per la pace Albanese: «Piano Trump-Netanyahu non porterà pace». Mantre il Papa spinge i potenti all’«audacia del disarmo»
Alla fine il Nobel per la pace non è andato a Trump, ma a María Corina Machado, leader dell’opposizione venezuelana che per prima cosa ha rivolto un omaggio proprio al presidente Usa. A sinistra si registra perlopiù silenzio, seppur eloquente. Dal panorama italiano sono giunte poche dichiarazioni ufficiali: la Boldrini per esempio, pur congratulandosi con Machado, ha dedicato grande spazio ad attaccare Trump che avrebbe influenzato l’assegnazione. E in Spagna si sono spinti fino a ignobili accostamenti: Pablo Iglesias, ex leader di Podemos, ha scritto su X che il Nobel sarebbe potuto andare «direttamente a Trump o persino ad Adolf Hitler».
Mentre oggi seguiamo il rilascio degli ostaggi, possiamo constatare che dalla sinistra ancora non è arrivato il riconoscimento a Trump per il suo impegno negoziale. Da Schlein a Conte si è fatto di tutto per non nominare il Presidente americano. Sempre Boldrini in questi giorni affermava che l’accordo è «il frutto delle straordinarie mobilitazioni che da molti mesi portano milioni e milioni di persone nelle piazze di tutto il mondo», facendo un lieve accenno allo «sforzo dei negoziatori», senza però nominarli. Anche Tino Magni, di Alleanza Versi e Sinista, aveva lodato «la marea umana dei cittadini che ha invaso le piazze del Paese contro il genocidio ai danni del popolo palestinese». Dello stesso parere Marco Grimaldi: «Il Nobel lo meritano i popoli scesi in piazza».
Intanto ieri come ogni anno c’è stata la Marcia per la pace da Perugia ad Assisi. Da alcuni striscioni e dalle dichiarazioni dei leader dell’opposizione che hanno partecipato sembra però che qualcuno abbia percorso i 24 km contro il governo piuttosto che per la pace. «Noi continuiamo a mobilitarci per il pieno riconoscimento dello Stato di Palestina», dice Schlein. «Palestina libera!», grida qualcuno. «Il governo ha paura di una società che gli chiede conto del suo immobilismo e della sua complicità», dichiara Fratoianni.
Anche Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu sui territori palestinesi occupati, intervistata durante la Marcia afferma: «Nel piano di pace proposto da Trump e Netanyahu ci sono troppi assenti. Anzitutto i palestinesi, cooptati da tecnocrati». Ha poi aggiunto: «Si parla di una ricostruzione sulle macerie e sulle fosse comuni, ma non di ricucire lo strappo fatto all’anima di quel popolo. Sono molto preoccupata. Certo quello che abbiamo oggi dopo due anni di genocidio è merito di Trump, ma secondo me non porterà alla pace se per pace si intende la fine della violenza. Non succederà».
Noi una constatazione però vogliamo farla. Si potrà pur dire che l’accordo sia frutto di calcolo politico e ambizione, ma i fatti parlano. Il risultato oggi è una tregua che rileva da una parte l’insuccesso in ambito mediorientale delle amministrazioni precedenti a Trump e dall’altra l’incapacità delle Nazioni Unite di portare avanti i processi di pace. A noi sembra che sia più ideologico riempirsi la bocca di accuse, rivendicazioni e genocidio, piuttosto che sfidare l’immobilismo di tutte le istituzioni internazionali che non hanno saputo presentare un progetto politico attuabile almeno per sperarla, la pace. Allora “la pace di Trump” non parla di ideologia, bensì di strategia: sfruttare il potere americano per discutere con Israele e far cedere Hamas attraverso una grande rete diplomatica messa in piedi dal Presidente stesso. È un semplice esercizio di realtà quello da mettere in atto, poco noto a chi si nutre di giudizi ideologici.
La verità è che la domanda di pace non è riconducibile al mondo di sinistra o a quello di destra. E questo deve essere un passo in avanti da applaudire, invece che continuare a farne uno stendardo politico. Il Papa questo lo sa bene. Nel messaggio rivolto al popolo in marcia per la pace ha implorato «il dono della riconciliazione» e della «stabile concordia in quelle parti del mondo segnate dai conflitti», auspicando che la manifestazione «sostenga l’impegno degli organismi internazionali in favore di soluzioni rispettose dei diritti di ciascuno e capaci di creare condizioni necessarie perché finalmente all’odio subentri l’amore, all’offesa il perdono».
Rilanciando il suo appello a una «pace disarmata e disarmante», papa Leone XIV, nella veglia di preghiera in piazza San Pietro di sabato, ha rivolto ai potenti il coraggioso invito: «Abbiate l’audacia del disarmo!», senza dimenticare che questa è «una parola rivolta a ciascuno di noi, perché da disarmare è prima di tutto il cuore». E concludendo: «Se non c’è pace in noi, non daremo pace».
(Foto: Imagoeconomica)
ABBONATI ORA ALLA RIVISTA!