IDEOLOGIA GENDER
IDEOLOGIA GENDER
La scienza contro il ddl sulla disforia di genere? In realtà le cose stanno diversamente
Generazione D e ProVita e Famiglia scoperchiano la verità dietro al documento, presentato come rappresentativo del mondo scientifico, contrario ai limiti ai trattamenti di “transizione di genere” e si chiedono: a chi giova?
17 Dicembre 2025 - 00:05
(Foto: AI)
“Quotidiano Sanità” ha titolato così: «Disforia di genere. Allarme delle società scientifiche: “Il ddl 2575 limita l’accesso alle cure per i minori”». Nel sommario si legge: «Le principali società scientifiche italiane chiedono la revisione del ddl avvertendo che rischia di limitare gravemente l’accesso alle cure per i minori transgender». Sulla stessa linea diverse testate generaliste, tra cui Il Domani, che titola: «La comunità scientifica lancia l’allarme sul ddl “disforia di genere”: nega le cure ai minori e viola le indicazioni europee».
Messa così, la narrazione è chiara: “la scienza”, compatta e unanime, si solleverebbe contro il disegno di legge promosso dal ministro Eugenia Roccella. Una scienza presentata come un monolite granitico, privo di divisioni interne e di dibattito, ma soprattutto schierato a favore dell'ideologia gender. Ma la realtà è molto più complessa. E diversa.
Il DDL 2575, infatti, non vieta – purtroppo - la somministrazione dei cosiddetti bloccanti della pubertà, che, come il Timone ha documentato più volte, comportano danni fisici e psicologici irreversibili. Il disegno di legge introduce piuttosto paletti e protocolli per porre fine al far west della cosiddetta transizione di genere nei minori: la triptorelina potrà infatti essere prescritta solo dopo una diagnosi da parte di un’équipe multidisciplinare, previo parere di un comitato etico e a condizioni cliniche ben definite. Nei fatti, dunque, non si tratta di "negare cure", come qualcuno vorrebbe far credere, ma di regolamentare l’uso di farmaci su soggetti sani, bambini e adolescenti in primis, in una fase delicatissima dello sviluppo. Che è meno del minimo sindacale.
Come fa notare GenerAzioneD sul proprio sito, inoltre, la narrazione mediatica omette un dato fondamentale: le società firmatarie del documento sono una minoranza. In Italia esistono centinaia di società scientifiche in ambito medico-sanitario, ma il testo contro il DDL è stato sottoscritto solo da sei società, una federazione e un’associazione culturale. Presentare questa presa di posizione come rappresentativa dell’intera comunità scientifica appare quindi quantomeno fuorviante. Qualcuno potrebbe pensare anche di peggio.
C’è poi il merito delle affermazioni. Le realtà in questione ripropongono tesi già note, come quella secondo cui i bloccanti della pubertà sarebbero “farmaci salvavita”. GenerAzioneD ricorda però che tali affermazioni si basano su studi che non dimostrano una riduzione dei suicidi, ma al massimo una variazione dell’ideazione suicidaria, un dato molto diverso dal punto di vista clinico. Critiche già sollevate in passato e mai realmente confutate.
A questo si aggiunge un elemento spesso rimosso dal dibattito: un farmaco è, per definizione, una sostanza chimica destinata a curare una patologia. In questo caso, però, non si cura nulla. Si interviene su corpi sani, alterandone lo sviluppo, con effetti irreversibili, alimentando l’illusione di poter “cambiare sesso”, quando la biologia – e ogni cellula del corpo umano – racconta tutt’altro.
Sulla stessa linea anche ProVita & Famiglia, che chiede al Parlamento di ignorare i pareri ideologici di questa minoranza di enti che pensano di potersi spacciare per “la scienza”. In particolare perché – si sottolinea – questi soggetti spingono per la medicalizzazione precoce dei minori, mentre Paesi come Finlandia, Svezia e Regno Unito, un tempo pionieri dell’approccio affermativo, hanno ridimensionato o sospeso tali pratiche per gli esiti a lungo termine che tutto erano tranne che positivi.
Jacopo Coghe, portavoce della Onlus, rimarca infine: «Il Parlamento deve invece accelerare su una legge che faccia chiarezza, ponga limiti clinici e istituisca un registro nazionale dei farmaci, per raccogliere dati e monitorare effetti ed esiti clinici, arrivando anche in Italia al blocco totale e definitivo della somministrazione di triptorelina e, più in generale, della ‘transizione di genere’ dei minori».
Questa è l’unica richiesta che rispetta la scienza e, insieme, è pienamente umana.












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