Entrare in un bar, ordinare cappuccino e cornetto e pagare in bitcoin. A molti può sembrare la previsione di un futuro ancora di là da venire ma a Roma c’è un locale dove è possibile fare tutto questo da diverse settimane.
Si tratta del Coinbar di via Barberini, aperto in una zona carica di significato, a metà strada tra il ministero dello Sviluppo Economico e quello dell’Economia, tra le mura di una vecchia filiale di banca. Sembra quasi una provocazione, dove un tempo c’erano correntisti in fila per depositare i loro risparmi adesso c’è un punto di ristoro e di svago che accetta e promuove l’utilizzo della valuta digitale, senza il controllo di banche centrali, senza costose spese per le transazioni bancarie e senza intermediari che decidono quando e come puoi utilizzare i tuoi soldi
I clienti vengono attirati da una ristorazione di qualità e dalla vendita di prodotti tipici a chilometro zero dell’agro romano (per quest’ultimi sarà allestita a market un’intera area del locale); e sia il cucinato sia le primizie laziali possono essere consegnate con un servizio di delivery. Ma prendere per la gola l’avventore è solo un modo per introdurlo nella cultura delle criptovalute. Il vero core business dell’attività è la piattaforma “Coinbar” per l’exchange e il trading delle valute digitali.
È questo il futuro? Nel triangolo tra moneta virtuale e Stato chi è a pagare il conto? C’è un parallelo tra criptovalute e euro?
Ne parliamo con Fabio Dragoni. Mentre Giorgio Mion, professore all’Università di Verona, guarda il fenomeno criptovalute nella prospettiva già segnalata dal Magistero della Chiesa sui rischi di una finanza autoreferenziale e lontana dall’economia… Grimaldello contro le oligarchie o ultima frontiere del liberismo selvaggio?…
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