La realtà ha questo brutto vizio di infischiarsene del politicamente corretto, di ciò che sta bene dire nei talk show o delle icone che si prestano a diventare bandiere di civiltà: senza il vero fattore di sostenibilità, quello che fa da fondamenta a tutto l’edificio che vogliamo green, autonomo dal punto di vista energetico, a impatto zero per quanto riguarda la C02 (e non c’è niente da scherzare, il tema della vera cura della casa comune per tutta la famiglia umana va preso sul serio), niente più talk show, né bandiere né tantomeno civiltà. La questione demografica si è imposta come tema irrimandabile e, forse, è quasi troppo tardi. Avevamo già troppi timer avviati? Chi lo sa. Fatto sta che il recente e mastodontico studio sulla fertilità umana e sull’andamento demografico in ben 204 paesi del mondo ha posto il tema in maniera inequivocabile, mostrando una tendenza generale al calo demografico, ma a diverse velocità, mostrando la macro regione sub-sahariana del continente africano come il vero motore demografico a livello mondiale.
Nello studio di 4 anni fa pubblicato da The Lancet e promosso e sostenuto dalla Gates Foundation emergevano già le tendenze oggi ancora più visibili. Riportiamo dall’articolo di Louis T. March su Mercatonet: « (…) Unoo studio innovativo, “Scenari di fertilità, mortalità, migrazione e popolazione per 195 paesi e territori dal 2017 al 2100: un’analisi di previsione per il Global Burden of Disease Study” prevedeva uno spaventoso scenario di popolazione globale. La proiezione di spicco dello studio: “La popolazione globale dovrebbe raggiungere il picco nel 2064 a 9·73 miliardi (8·84–10·9) di persone e diminuire a 8·79 miliardi (6·83–11·8) nel 2100.” Un declino della popolazione globale del 10% in 36 anni è, a dir poco, una proposizione inquietante.»
Grazie a quella prima pubblicazione il tema demografico è uscito dalla nicchia degli appassionati per irrompere al centro del dibattito mondiale. Di fronte a queste tendenze è impossibile non porsi il problema del declino della fertilità, dell’invecchiamento progressivo della popolazione e della carenza di manodopera qualificata. Nel 2024 The Lancet ha pubblicato uno studio ancora più vasto e approfondito: “La fertilità globale in 204 paesi e territori, 1950-2021, con previsioni fino al 2100: un’analisi demografica completa per il Global Burden of Disease Study 2021”: «(…) i tassi di fertilità futuri continueranno a diminuire in tutto il mondo, raggiungendo un TFR globale di 1·83 (1·59–2·08) nel 2050 e 1·59 (1·25–1·96) nel 2100 secondo lo scenario di riferimento. Si prevedeva che il numero di paesi e territori con tassi di fertilità al di sopra della sostituzione sarebbe stato 49 (24·0%) nel 2050 e solo sei (2,9%) nel 2100». Non ci sono dubbi: siamo ai prodromi di una grande fase di contrazione demografica a livello mondiale. Correranno ai ripari i governi e le istituzioni nazionali e sovranazionali? Se riusciranno a liberarsi del dogma “distruggi la famiglia” con relativi corollari (per esempio “abbasso la maternità”).
LA PIU’ GRANDE RISORSA DELL’AFRICA
L’Africa, o meglio la regione sub-sahariana, sarà la regione dove nascerà oltre la metà della popolazione mondiale nel 2100. Che non è così lontano: «L‘ennesima rivelazione “che lascia cadere la mente”: si prevedeva che la percentuale di nati vivi che si verificano nell’Africa sub-sahariana aumenterà a più della metà dei nati vivi nel mondo nel 2100, al 41·3% (39·6–43·1) nel 2050 e al 54·3% (47·1–59·5) nel 2100. Dopo il 2011, l’Africa subsahariana ha contribuito con la quota maggiore di nati vivi, fino a circa il 30% entro il 2021 (rispetto all’8% del 1950).» C’è poco da girarci intorno, il futuro, che può reggersi solo sulle gambette incerte dei neonati, passa dall’Africa.
Un continente pieno di risorse ma anche di ferite, soggetto a sistematico saccheggio, quasi privo di classe media, con un tasso di istruzione ancora troppo basso. Eppure è da lì che arriva di fatto la speranza, anche per la Chiesa, perché gli estremi confini del mondo si raggiungono attraverso il cuore vivo di persone trasformate dall’incontro con Cristo, allevate da Madre Chiesa. Di poco tempo fa è l’intervista al Cardinal Ambongo, presidente delle conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar, e ancora risuona il senso delle sue parole, dure e oneste, rivolte ai paesi di antica cristianità: l’Occidente che ci ha portato il vangelo ora sembra metterlo in discussione o peggio aggiungerlo a tutte le opzioni possibili, secondo il solo assoluto in cui crede, il relativismo.
L’Africa è dunque il futuro della Chiesa e anche del mondo, dal momento che, come raccontiamo nel Primo piano del Timone di Aprile (qui per abbonarsi), con tutta probabilità ne costituisce già il presente. La Chiesa d’Africa non è solo potenza demografica, ma possiede i tratti tipici delle comunità vive e in crescita: una fede integra e spesso martire. E da che il mondo è stato salvato, il sangue dei martiri, come diceva Tertulliano, è seme di nuovi cristiani (Fonte foto: Pexels.com).
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