A seguito della strage di Altavilla Milicia, non è tornata di attualità solo la differenza – fondamentale, come ben ricordato su queste colonne da suor Anna Monia Alfieri – tra fede e superstizione, ma anche la presenza, quanto mai radicata oggi nel nostro Paese, delle credenze nei maghi e negli indovini. Come ha messo in luce nei mesi scorsi l’indagine esclusiva sulla fede realizzata da Il Timone in collaborazione Euromedia Research di Alessandra Ghisleri, tra gli italiani che vanno a Messa una volta al mese in maggioranza credono all’esistenza del Diavolo e in larga maggioranza (oltre il 70%), dubitano che possa esistere una “magia buona”.
Eppure, la nuova passione dell’Italia laica e secolarizzata, oggi, sembra essere proprio questa: la magia. Come difatti ha notato Catholic Herald, i nostri connazionali che ogni anno consultano i cosiddetti maghi superano gli 8 miliardi di euro. Se si allarga lo sguardo dal cliente fisso dei maghi a quelli che vi sono andati almeno una volta nella vita, i numeri diventano ancora più impressionanti. Sono infatti tra i 10 e i 13 milioni gli italiani che possono dire di essersi risvolti stregoni o streghe per farsi leggere le carte, la mano o comunque per ottenere qualche indicazione utile circa il loro futuro.
A questo punto, adottando categorie sociologiche assai stereotipate, si potrebbe essere tentati di circoscrivere tutto quanto fin qui detto al degrado e all’arretratezza; a consultare i maghi, insomma, sarebbero soprattutto gli italiani più poveri e creduloni. Peccato che non sia affatto così, dal momento che l’epicentro della stregoneria e dell’occultismo, nella nostra penisola, è – udite udite – non qualche regione del meridione, bensì la prospera Lombardia, che può vantare un esercito 2.800 operatori dell’occulto e 200.000 clienti; numeri che superano di gran lunga le percentuali di preti cattolici residenti e cattolici che di frequentano la Santa Messa su base settimanale.
Oltre al mondo dell’occulto, in Italia come nell’Occidente dove le grandi religioni organizzate – cattolicesimo in primis – sono in difficoltà, avanza il neopaganesimo. Un termine da immaginare come contenitore dato che ad esso sono collegate tutta una serie di antiche tradizioni etniche e magiche caratterizzate da due elementi. Il primo è quello messo in luce dai sociologi Stefania Palmisano e Nicola Pannofino, autori di un recente lavoro su tema, Religione sotto spirito (Mondadori 2021), ossia la «la labilità di confini tra spiritualità e marketing, Oriente e Occidente, esoterismo e pratiche di benessere».
I culti neopagani, sia chiaro, non sono riducibili solo a questo, ma di certo oggi beneficiano di una certa visione del mondo agile e fumosa al tempo stesso, «che concilia gli angeli con la reincarnazione, Osho con Gesù, e tende all’unificazione», per dirla con le parole di Palmisano e Pannofino rilasciate al Venerdì di Repubblica. Il secondo elemento caratterizzante del neopaganesimo è, appunto, il suo boom. Difficile, in effetti, negare l’odierno revival della Wicca, del druidismo, dello sciamanesimo e di credenze più o meno ancestrali – e più o meno rivisitate – che alcuni sociologi classificano con l’acronimo sbnr, che sta per «spiritual but not religious».
Solo negli Stati Uniti, e solo dal 2006 al 2011, si stima che i culti neopagani abbiano conosciuto una crescita del 10%, con picchi di oltre il 30% di avanzamento per realtà come il panteismo e credenze di stampo naturalistico. Se si considera un arco temporale più esteso soffermandosi su un singolo culto, i riscontri sono ancora più netti. Con riferimento all’Italia, Catholic Herald ricorda, per esempio, il caso del Movimento Tradizionale Romano – un’organizzazione neopagana romano-italica nata in Italia nel nostro Paese nel 1988 come unificazione di diversi gruppi esistenti che, in 10 anni, ha registrato un boom del 147%. E non si tratta, si badi, di un caso isolato.
Ne consegue come forse sarebbe il caso di rimettere in discussione il paradigma dell’Italia laica e secolarizzata, in favore di quello – ben più realistico, statistiche alla mano – di una penisola credulona e neopagana. «L’uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa», ammoniva non a caso il grande Fëdor Dostoevskij, «se l’uomo rifiuta Dio, si inginocchia davanti ad un idolo». A 140 anni dalla sua morte, ci si dovrebbe decidere a riconoscere valore sociologico a questa frase del celebre scrittore russo. Per un motivo semplice: perché ne ha. Esattamente come ne ha chi fa osservare come l’uomo contemporaneo, quello immerso nella tecnologia e attratto dall’Intelligenza Artificiale, in fondo ha lo stesso bisogno di Dio dei suoi antenati. Solo che spesso non lo sa.
(Fonte foto: Pexels.com)
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