Venerdì 19 Dicembre 2025

Così Antoni Gaudí, l'"Architetto di Dio" ora venerabile, iniziò la Sagrada Familia

La storia del capolavoro del grande architetto catalano ora Venerabile, perché Papa Francesco ne ha riconosciuto le virtù eroiche

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Quando, nel 1883, Antoni Gaudì si vide affidare la direzione dei lavori per realizzare la Sagrada Familia dall’Asociaciòn Espiritual de Devotos de San José allo scopo di richiamare il valore della famiglia, nessuno avrebbe immaginato che, in una zona allora periferica della città, sarebbe sorto un edificio unico nel suo genere. La costruzione di una cattedrale era già un’impresa di per se stessa e, nel caso della Sagrada Familia, lo era ancor di più in quanto, per volontà dei fondatori, essa doveva costituire un tempio espiatorio, finanziato integralmente con le donazioni del popolo, tanto che lo stesso Gaudì andava ad elemosinare «un centesimo, per amore di Dio». Un’opera che, come già accadeva nel Medioevo, non doveva costituire solo espressione del genio di un architetto, bensì essere «realizzata dal popolo…un’opera posta nelle mani di Dio e affidata alla volontà del popolo. Vivendo a contatto con il popolo e rivolgendosi a Dio, l’architetto svolge il proprio compito. È la Provvidenza che, secondo i propri disegni, porta a termine i lavori». In effetti, questa concezione ha improntato tutto il lavoro di Gaudì il quale, di fronte alle dimensioni dell’impresa ripeteva: «la finirà San Giuseppe. Il mio cliente, colui che me l’ha ordinata, non ha fretta. In questa chiesa tutto è frutto della Provvidenza, inclusa la mia partecipazione come architetto». L’affidamento alla Provvidenza, del resto, è proprio il tratto caratteristico dell’opera di Gaudì, che l’ha reso profondamente consapevole dei presupposti del suo lavoro e quindi libero dagli esiti. «Vuoi conoscere la mia fonte di ispirazione? Un albero; è lui che sostiene i rami e questi le foglie e i ramoscelli. Ogni singola componente cresce armoniosamente, in maniera stupenda; dal momento in cui il Padreterno l’ha creata”. Dunque, diceva, «la bellezza è lo splendore della verità: siccome l’arte è bellezza, senza verità non c’è arte. Per trovare la verità bisogna conoscere bene gli esseri del creato». Di qui la coscienza che «l’artista con la sua opera collabora alla creazione di Dio e così libertà e felicità sono possibili. Questa è l’unica vera strada da seguire per l’uomo». I frutti di questa consapevolezza sono imponenti: abbandonata l’idea che la cattedrale fosse una mera creazione umana, Gaudì non si basò su schemi convenzionali né elaborò un progetto predefinito, ma procedette nei lavori seguendo l’osservazione e sperimentando quotidianamente le soluzioni più adeguate allo scopo da raggiungere. Rinunciò al moderno cemento, facendo invece ricorso a pietre, mattoni e altri materiali di uso quotidiano, come ceramica e ferro battuto. Come i costruttori medievali di cattedrali, procedette per continui adattamenti, sempre attento che la soluzione formale prescelta rispondesse alle esigenze funzionali proprie di una cattedrale, in particolare quelle liturgiche: l’edificio è infatti ispirato allo stile gotico ma sfrondato da tutte le sue eccedenze formali, alleggerito attraverso elementi circolari, strutturando le torri come delle parabole di rotazione, così da far svettare la facciata verso l’alto, coinvolgendo il visitatore; nell’interno Gaudì immaginava una luce diffusa ma non diretta, per garantire un’adeguata illuminazione, al contempo favorendo il raccoglimento («Gli angoli spariranno e la materia svelerà le sue rotondità astrali; il sole penetrerà in tutte le direzioni: sarà la rappresentazione del Paradiso»); una particolare attenzione è stata dedicata all’acustica, in modo che il canto risuoni in tutta la sua bellezza; le sculture sono pensate per essere pienamente leggibili da parte dei fedeli e costituiscono un imponente catechismo di pietra (la biblia pauperum medievale) che attraverso le forme della natura, vegetali e animali, conduca alle verità della fede. La struttura, come anche le sculture, non sono utilizzati come elementi decorativi, ma per il loro profondo significato simbolico. La chiesa è dotata di una pianta a forma di croce e rappresenta il corpo mistico di Cristo: essa è edificata intorno all’altare, che simboleggia, al pari della torre maggiore, Cristo stesso. Le facciate sono ornate ciascuna da 4 campanili, 12 in tutto, rappresentanti gli apostoli e disposte a forma di mitra, quasi la torre fosse il pastorale dei vescovi, eredi degli apostoli. Ciascuna facciata illustra un aspetto della vita di Cristo: quella ad est rappresenta la Natività, in quanto da oriente proviene la luce, simbolo della salvezza, ed è decorata da tre portali, ciascuno dei quali dedicato a una virtù teologale; sul lato opposto, ove il sole tramonta, è raccontata invece la Passione, momento buio della storia dell’umanità, che corrisponde anche a forme più massicce e severe e prevede un ciclo scultoreo distribuito su tre livelli, in ordine ascendente a formare una S, per riprodurre la salita al Calvario; quella a sud raffigura la Gloria, coronata da una scalinata rappresentante il passaggio dal peccato e dalla morte, attraverso la fede, l’illustrazione delle virtù e dei sacramenti, verso la resurrezione. Nessun particolare viene lasciato al caso, né costituisce sfoggio di una capacità personale: al contrario, tutto è pensato per contribuire alla liturgia e alla testimonianza della fede. In tal modo Gaudì, non a caso definito “l’architetto di Dio”, ha ripreso gli elementi della tradizione con assoluta libertà espressiva, mescolando diversi stili architettonici e raggiungendo risultati di innegabile originalità nella prospettiva che quest’ultima «consiste nel ritornare alle origini; originale è, dunque, ciò che con mezzi nuovi fa ritorno alla semplicità delle prime soluzioni». Una testimonianza di fede Antoni Gaudì, architetto spagnolo vissuto tra il 1852 e il 1926, ideò molte straordinarie opere, tra cui una serie di splendidi palazzi. Di umili origini, in gioventù espresse simpatie nazionaliste, anticlericali e dandy e si formò nel clima culturale di ricerca che seguì il superamento del classicismo. Alla Sagrada Familia Gaudì dedicò ben 43 anni, 12 dei quali con dedizione esclusiva, al punto da andare ad abitare nel relativo cantiere. Morì in povertà senza essere riuscito ad ultimarla: egli è l’esempio dell’artista santificato dal suo lavoro, tanto che per lui è stato avviato un processo di beatificazione. La sua testimonianza di fede ha favorito numerose conversioni tra i visitatori della cattedrale, la più nota delle quali è quella di Etsuro Sotoo, scultore giapponese che rimase talmente affascinato dalla Sagrada Famiglia da tentarne il completamento e il restauro delle parti distrutte nella rivoluzione civile del 1936. Nello sforzo di immaginare “cosa avrebbe fatto Gaudì al suo posto” per completare l’opera, Sotoo intuì che era necessario non “guardare a Gaudì”, bensì “alla direzione in cui guardava Gaudì”. Tale posizione l’ha condotto alla conversione che, secondo quanto egli stesso afferma, gli ha reso il lavoro “molto più facile e sicuro”, ricco di “gusto e libertà”, in quanto “l’architettura di Gaudì indica, non obbliga, è una cosa umana. È così anche il cammino di Gesù. Gesù non ci obbliga a fare però ci guida. E allora possiamo essere molto più felici e molto più sicuri”. (Foto: Pexels.com/ Wikipedia dominio libero)  

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