Eutanasia
Gesù Cristo non diventi una scusa per parlar d’altro
Per dieci anni, dal 2004 al 2014, è morto l’11 luglio 2015, Giacomo Biffi mandò alla redazione de Il Timone una serie di contributi. Sono raccolti nell'imperdibile libro "Nè sazio nè disperato" di cui pubblichiamo uno stralcio
11 Luglio 2025 - 00:03
Nei primi mesi del 1900 un grande pensatore, Vladimir Sergeevic Solovëv, scrivendo un suo saggio a proposito dell’Anticristo, ha supposto con sorprendente antiveggenza che alla fine del secolo XX la grande tentazione del mondo cristiano sarebbe stata l’attenzione primaria o addirittura esclusiva riservata ai “valori”; “valori”, beninteso, visti non come consecutivi (che sarebbe giusto) ma come sostitutivi dell’adesione alla persona di Cristo e al suo mistero salvifico.
In questo quadro da lui delineato, i discepoli di Gesù – stanchi del pesante onere della testimonianza al Crocifisso risorto che viene loro affidata nel battesimo – si sarebbero ridotti a parlare soltanto di pace, di solidarietà, di amore per gli animali, di difesa della natura, eccetera, lasciando nell’ombra l’affermazione di Cristo oggi realmente e fisicamente vivo, unico Signore e unico necessario Salvatore di tutti.
L’ammonimento del filosofo russo merita di essere preso sul serio: si tratta del pericolo oggettivamente più grave che oggi sovrasta la cristianità e del rischio più seducente che essa può correre, perché questo atteggiamento innegabilmente rende più agevole il dialogo interreligioso (e anzi il dialogo con tutte le opinioni mondane), che è un proposito e un impegno che di questi tempi ci sta molto a cuore.
In effetti, una volta che si accoglie questa prospettiva il dialogo con i “lontani” – non inciampando mai in un maestro che pretende di essere unico, né in un morto che è ritornato alla vita e continua a essere veramente e corporalmente vivo, né in un uomo che incredibilmente è anche Dio – si fa meno irto e più spedito; e la nostra possibilità di essere accolti nei “salotti mondani” (cioè negli ambienti culturalmente emergenti, nelle redazioni dei giornali e dei telegiornali, nei circoli scientificamente e socialmente progrediti) diventa facile e senza problemi. Si spiega allora come mai si stia estendendo tra noi, nelle nostre comunità, nelle nostre pubblicazioni, nei nostri interventi, quella specie di “moda” culturale che don Divo Barsotti ha bollato impietosamente quando ha osservato che nella cristianità dei nostri giorni Gesù Cristo è più che altro una scusa per parlare d’altro.
Il cristianesimo ridotto a pura azione umanitaria nei vari campi dell’assistenza, della solidarietà, del filantropismo; il messaggio evangelico identificato nella sollecitudine per la buona armonia tra i popoli e le religioni, nella ricerca del benessere e del progresso, nell’esortazione a rispettare la natura; la Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità (cf. 1Tm 3,15), scambiata per un’organizzazione benefica, estetica, socializzatrice: questa è l’insidia mortale che oggi va profilandosi per la famiglia dei redenti dal sangue di Cristo.
Ovviamente non si tratta di colpevolizzare o ritenere inutile né il “dialogo” né l’attenzione ai “valori”. Il “dialogo” – un dialogo intelligente, sereno, rispettoso e comprensivo – è doveroso e necessario: come potrebbero vivere gli abitanti di un pianeta così fortemente comunicante e unificato, senza parlarsi e confrontarsi tra loro? Purché però il Signore Gesù da annunciare nella realtà della sua Pasqua non ne diventi la più illustre vittima, e non si smarrisca la persuasione che la Chiesa è, come dice il Concilio Vaticano II, “il sacramento universale della salvezza”. Dal canto loro, i “valori” – solidarietà, pace, ecologismo, ecumenismo, eccetera – possono diventare nel non cristiano le occasioni concrete di un approccio iniziale e informale a Cristo e al suo mistero; e nel cristiano questi stessi valori possono offrire preziosi impulsi all’inveramento di una totale, concreta, appassionata adesione a Gesù, unico Signore dell’universo, della storia e dei cuori.
Ma se il cristiano, per amore di apertura al mondo e di buon vicinato con tutti, quasi senza avvedersene, stempera sostanzialmente il fatto salvifico nell’esaltazione e nel conseguimento di questi traguardi secondari, allora egli si preclude la connessione personale col Figlio di Dio crocifisso e risorto e consuma a poco a poco un sostanziale peccato di apostasia.
Gesù Cristo, il Figlio di Dio crocifisso e risorto, inderogabile Salvatore dell’uomo, non è “traducibile” in una serie di buoni progetti e di buone ispirazioni, omologabili con la mentalità mondana dominante. Gesù Cristo è una “pietra”, come egli ha detto di sé; una “pietra” che non si lascia frantumare. Su questa pietra o, affidandosi, ci si costruisce o ci si va a inzuccare: «Chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà» (Mt 21,44); che è tra le parole del nostro Maestro che oggi sono accuratamente censurate tra i suoi discepoli.
ABBONATI ORA ALLA RIVISTA!










Facebook
Twitter
Instagram
Youtube
Telegram