Los Angeles, la villa dell’utero in affitto: trovati 22 bimbi
Lo scandalo, raccontato dal Wall Street Journal, che ha travolto una coppia di cinesi ora si allarga. Ma è solo la conseguenza della dittatura dei diritti
Sembrava una villa, e in effetti a prima vista esattamente questo appariva: una gran abitazione da favola, roba da ricchi. In realtà, però, era ben altro, e cioè un disumano supermarket di bambini. Stiamo parlando della lussuosa abitazione a nove stanze ad Arcadia - zona chic alla periferia di Los Angeles – dove risiedevano Silvia Zhang, 38 anni, e Guojun Xuan, 65 anni, e dove la polizia nei giorni scorsi ha scoperchiato quello che presenta tutti i contorni d'un colossale scandalo, con al centro un losco traffico di neonati. Ma andiamo con ordine.
La vicenda aveva avuto inizio ai primi maggio quando un bambino era stato ricoverato e mostrava dei segni di maltrattamenti. Per cercare di far luce su questi abusi riportati dal piccolo, gli inquirenti sono arrivati all’abitazione dei due citati asiatici, dove hanno trovato la bellezza di 15 bambini, tutti di età inferiore ai tre anni - accuditi esclusivamente da tate. Non è finita: altri sei piccoli, sempre riconducibili a Zhang e Xuan, sono di lì a poco stati rintracciati dalla polizia in case nella zona circostante. Ma di chi sono questi 22 bambini?
Secondo i due cinesi – nel frattempo arrestati -, quelli sarebbero tutti figli loro. Tanto è vero che, per chiarire la posizione, sono stati esibiti 22 certificati di nascita, che a prima vista proverebbero come – sia pure ottenuti tutti attraverso utero in affitto – i piccoli sarebbero della coppia. Peccato che, ben lungi dal chiarire la situazione, quei 22 certificati siano finiti solamente con l’aggravarla. Quei documenti infatti attestano un’anomalia notevole: quella secondo cui i 22 neonati sarebbero nati in svariati Stati americani e in rapida successione. Un po’ troppo anche per il più intenso desiderio di genitorialità che una coppia possa coltivare. Non è finita.
Con una veloce indagine, si è scoperto come la “villa dei misteri” fosse registrata – coincidenza - quale la sede della Mark Surrogacy, cioè l’agenzia di surrogazione di maternità che, pensate un po’, aveva organizzato la maggior parte delle nascite dei bambini ed era gestita da lei, Silvia Zhang, la donna che vi risiedeva con il marito. Entrambi ora respingono ogni accusa circa i presunti traffici di cui sono accusati. Ma oltre ai certificati di nascita assai singolari e alla non meno curiosa coincidenza tra la loro abitazione e un’agenzia attiva sul fronte dell’utero in affitto, ad inchiodare i due ci sono pure delle testimonianze. Si tratta dei resoconti - raccolti in un’inchiesta realizzata sul caso dal Wall Street Journal a firma di Katherine Long, Ben Foldy e Sara Randazzo – delle stesse mamme surrogate che la signora Zhang e il coniuge avevano contattato, per lo più reclutandole su Facebook.
Sono donne che, se da un lato ammettono di aver messo al mondo dei figli su commissione per la coppia asiatica, dall’altro dichiarano di essere totalmente all’oscuro del fatto che i due facoltosi asiatici avessero decine di pargoli con loro. Una di queste donne, tale Vanity McGoveran – la quale, su commissione, ha partorito una bimba -, è uscita allo scoperto raccontando al quotidiano americano d’essere rimasta sconvolta, quando ha appreso che la signora Zhang, che a lei aveva detto di non poter avere figli, in realtà ne aveva 22. Ma quale necessità avevano Silvia Zhang e Guojun Xuan (ufficialmente imprenditori e responsabili d'una società immobiliare, la Yudao Management) di tutti quei bimbi?
Il forte sospetto, visti anche i legami con la Cina, dove l’utero in affitto è illegale, è che i due smerciassero i loro presunti figli con dei loro connazionali. Lo riporta esplicitamente anche il Wall Street Journal, quando evidenzia che, anche se non è ancora chiarito «se la villa di Arcadia avesse legami diretti con la Cina» ora però «l'inchiesta sta sollevando allarme nel settore della maternità surrogata commerciale, un mercato in rapida crescita e multimiliardario che mette in contatto aspiranti genitori con donne disposte a dare alla luce figli per loro. Gli esperti di maternità surrogata temono che i legami della coppia con la Cina e l'elevato numero di figli avuti tramite maternità surrogata possano indurre a un controllo più rigoroso su quello che oggi è un settore scarsamente regolamentato».
Chiaro? Nonostante lo scandalo clamoroso che si sta sollevando attorno a questo caso - di cui il Timone aveva dato notizia tra i primi in Italia ancora giorni fa, quando i primi dettagli sulla vicenda stavano trapelando - c’è ancora chi, anziché inorridirsi, si preoccupa che tutto ciò possa condurre a controlli più rigorosi per un settore che, negli Stati Uniti e non solo, risulta ancora «scarsamente regolamentato». Tutto questo però non deve stupire, dato che non fa che suffragare una realtà innegabile: l’utero in affitto – che solo un volgare tranello linguistico può portare a chiamare gestazione per altri (o, peggio ancora, gpa) – è e resta sempre, in ogni circostanza, una compravendita di bambini.
Come Timone denunciamo tutto questo con forza da anni, come prova anche la copertina provocatoria d'un numero della nostra rivista (qui per abbonarsi) che era uno speciale intitolato «pensateli comprati», raffigurante una madre con il suo bimbo dentro una confezione da supermercato. Tuttavia, come prova questo caso esploso al Los Angeles, siamo ancora ben lontani ad una presa di coscienza sulle implicazioni della maternità surrogata. Che non può essere mai accettabile e accettata, se non si vuol legittimare quello che è a tutti gli effetti un mercato di figli e un commercio di uteri. Tutto questo va quindi fermato e, se ancora avete dei dubbi, pensate alla villa della signora Zhang, se ci riuscite, senza rabbrividire.
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