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Patriarchi di Gerusalemme: «No allo sfollamento di Gaza»
I Patriarchi di Gerusalemme, Pizzaballa e Teofilo III, condannano lo sfollamento forzato dei civili da Gaza e chiedono la fine immediata della guerra. Lodano il coraggio di sacerdoti e suore che restano nei complessi cristiani per assistere i più vulnerabili
26 Agosto 2025 - 12:09
«Sui sentieri della giustizia si trova la vita, la sua strada non va mai alla morte» (Proverbi 12,28). Con queste parole della Scrittura si apre la dichiarazione congiunta diffusa oggi dal Patriarcato Greco Ortodosso di Gerusalemme, guidato da Sua Beatitudine Teofilo III, e dal Patriarcato Latino, guidato dal cardinale Pierbattista Pizzaballa.
I due Patriarchi denunciano con fermezza la decisione annunciata dal governo israeliano di prendere «il pieno controllo della città di Gaza», a fronte della «massiccia mobilitazione militare» in corso e dei «preparativi per un’imminente offensiva». Le notizie che giungono dalla Striscia – si legge nella nota – parlano di «ordini di evacuazione per diversi quartieri della città», pesanti bombardamenti e «ulteriori distruzioni e morti in una situazione già drammatica».
«L’annuncio del governo israeliano secondo cui “si apriranno le porte dell’inferno” – scrivono – sta assumendo contorni tragici. Le intenzioni dichiarate e le notizie dal terreno dimostrano che l'operazione non è solo una minaccia, ma una realtà già in fase di attuazione».
Religiosi e religiose scelgono di restare
Nella dichiarazione, i Patriarchi danno particolare rilievo alla scelta di sacerdoti, religiosi e religiose di non abbandonare i complessi cristiani della città, diventati rifugio per centinaia di civili: «Dallo scoppio della guerra, il complesso greco-ortodosso di San Porfirio e quello latino della Sacra Famiglia sono stati un rifugio per centinaia di civili. Tra loro ci sono anziani, donne e bambini», spiegano.
Nel complesso latino, gestito da anni dalle Missionarie della Carità di Madre Teresa, vivono anche persone con disabilità, assistite quotidianamente dalle suore. «Molti rifugiati – si legge – sono indeboliti e malnutriti. Lasciare Gaza City e cercare di fuggire verso sud equivarrebbe a una condanna a morte. Per questo motivo sacerdoti e suore hanno deciso di rimanere e continuare a prendersi cura di tutti coloro che si troveranno nei due complessi».
Le suore di Madre Teresa sono una presenza storica a Gaza. Arrivate nel febbraio del 1973, poche settimane dopo l’uccisione del parroco latino p. Hanna Al-Nimri, hanno condiviso da subito le «sofferenze di questa terra martoriata», arrivando persino – raccontano fonti locali – a «ripulire le pareti insanguinate» dopo gli scontri. Da oltre 52 anni sono un punto di riferimento per i più fragili, nonostante il blocco che da anni soffoca la Striscia e le ripetute guerre che hanno trasformato Gaza in una «prigione a cielo aperto» per i suoi due milioni di abitanti.
«Nessun futuro basato su prigionia o vendetta»
La dichiarazione congiunta ribadisce con forza il no a ogni forma di punizione collettiva e al trasferimento forzato dei civili: «Non può esserci futuro basato sulla prigionia, lo sfollamento dei palestinesi o la vendetta», scrivono i Patriarchi, facendo eco alle parole pronunciate pochi giorni fa da Papa Leone XIV: «Tutti i popoli, anche i più piccoli e i più deboli, devono essere rispettati dai potenti nella loro identità e nei loro diritti, in particolare il diritto di vivere nelle proprie terre; e nessuno può costringerli a un esilio forzato».
«Non vi è alcuna ragione – proseguono – che giustifichi lo sfollamento deliberato e forzato di civili. È tempo di porre fine a questa spirale di violenza, di dare priorità al bene comune delle persone. C’è stata abbastanza devastazione, nei territori e nelle vite delle persone. È ora che le famiglie di tutte le parti in causa, che hanno sofferto a lungo, possano avviare percorsi di guarigione».
L’appello alla comunità internazionale
Il documento si chiude con un forte appello rivolto alla comunità internazionale affinché «agisca per porre fine a questa guerra insensata e distruttiva» e favorisca il ritorno a casa «delle persone scomparse e degli ostaggi israeliani».
Proteste in Israele
Intanto, in Israele, la tensione cresce. Nelle stesse ore in cui la dichiarazione è stata resa pubblica, Tel Aviv è stata teatro di una nuova ondata di manifestazioni dei familiari degli ostaggi ancora trattenuti a Gaza. La cosiddetta “Giornata nazionale di lotta”, promossa dal Forum delle famiglie degli ostaggi e degli scomparsi, ha visto migliaia di persone riunirsi nella “piazza degli ostaggi”, mentre gruppi di manifestanti si sono radunati davanti alle abitazioni di diversi ministri.
Dopo lo sciopero generale della scorsa settimana, le proteste chiedono con sempre maggiore urgenza un accordo che porti alla liberazione dei prigionieri, la cui sorte – denunciano i familiari – è ogni giorno più incerta.
«Sui sentieri della giustizia si trova la vita, la sua strada non va mai alla morte» – ribadiscono i Patriarchi – pregando perché «tutti i nostri cuori si convertano, per camminare sui sentieri della giustizia e della vita, per Gaza e per tutta la Terra Santa». (Foto Ansa)










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