Lunedì 01 Dicembre 2025

Non bastano condanne: il male va guardato in faccia

Dall’omicidio di Charlie Kirk allo sguardo ferito di Iryna: il male non si combatte con slogan ma con verità

irina

L'omicidio di Charlie Kirk, reo di dibattere secondo le sue idee, quelle di un uomo di 31 anni che lascia una moglie e due figli piccoli, si aggiunge alla scia di violenza, guerra e miseria che ci abita intorno. Questa orrore è dipinto plasticamente negli occhi di Iryna Zarutska, la 23enne ucraina barbaramente accoltellata lo scorso 22 agosto su di una metro a Charlotte da un 34enne afroamericano già fermato 14 volte dalla polizia per reati vari. Una barbara uccisione chissà perché semi oscurata dai media e oggi tornata prepotentemente alla ribalta grazie al video integrale pubblicato sul web (quello che vedete nella foto di apertura è un frame di questo video). Lo sguardo di Iryna ormai ferita che guarda il suo aggressore che passa di fianco a lei è quello in cui è descritto l'orrore di fronte al male. Di fronte all'orrore che ci abita intorno. Quanti sguardi così nell'inferno di Gaza, in Ucraina, in Camerun, in Nigeria, in Myanmar, solo per citare alcuni pezzi di quella che papa Francesco aveva ben descritto come terza guerra mondiale in atto. E quanti sguardi così nelle strade delle nostre città preda di violenze insulse. Quanti sguardi così. Ma il male ha un nome, così come l'unica pace possibile lo ha.

Mai come oggi, la sensazione è che il male domini lo spazio pubblico e privato, travolgendo la vita dei singoli, delle famiglie, delle nazioni. Le cronache raccontano di massacri, aggressioni, guerre dimenticate: uno stillicidio che segna le nostre coscienze e a cui spesso reagiamo con smarrimento, giustificazioni, o con il solito rituale di condanne e appelli che svaniscono in fretta.

Si fatica a guardare in faccia la realtà, a riconoscere le responsabilità, a chiamare il male per nome. E questo deficit di verità diventa il terreno fertile su cui cresce la violenza, alimentata dall’indifferenza o da un buonismo che trasforma l’orrore in notizia passeggera.

Eppure, la questione non è solo politica o sociale: riguarda la fragilità profonda dell’uomo, specialmente quello contemporaneo con la sua incapacità di trovare un fondamento stabile. Lo ricordava papa Benedetto XVI: quando Dio viene escluso dall’orizzonte delle scelte e delle azioni, costruire una società fondata su giustizia e fraternità diventa un’impresa quasi impossibile.

La pace vera non è un artificio diplomatico né una tregua provvisoria, ma nasce da un accordo più profondo, quello tra la volontà dell’uomo e la volontà di Dio. È questo il cuore del messaggio cristiano: una riconciliazione resa possibile dal sacrificio della croce. Senza questa prospettiva, ogni tentativo di pacificazione rischia di essere solo un fragile surrogato.

In un mondo lacerato da conflitti e paure, l’urgenza non è dunque solo “gestire” il male, ma affrontarne le radici. E senza un riferimento alto, senza una verità trascendente, il rischio è che a prevalere sia sempre e solo la legge del più forte. Non di surrogati di pace, non di parole, ma c'è bisogno di Cristo. L’unico salvatore del mondo perché è l’unico salvatore dell’uomo. Le parole di papa Leone XIV al suo primo affaccio su piazza San Pietro ci ricordavano appunto che la pace «disarmata e disarmante» non è una pace qualsiasi è quella di «Cristo risorto». (immagine screen shot X)

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