Il 13 aprile di 78 anni fa, com’è stato notato, era un venerdì. Il giorno della passione di Gesù e anche di un’altra: quella allora inflitta da dei partigiani comunisti, in odium fidei, al giovane seminarista Rolando Rivi (1931–1945). Rivi aveva appena 14 anni e fu sottoposto a tormenti indicibili. Sequestrato dai partigiani comunisti appunto, fu fatto prigioniero per tre giorni, subendo le peggiori violenze a base, fra le altre cose, di micidiali colpi di cinghia che gli strapparono la pelle dalla schiena. Infine, venne condotto in un bosco presso Piane di Monchio, Modena, dove gli fu fatta scavare la propria fossa, gli venne asportato l’organo sessuale – che come ultima, terribile offesa gli sarebbe stato poi messo in bocca – e, fattolo inginocchiare, gli spararono due colpi di rivoltella, il primo al cuore e il secondo alla fronte.
Una brutalità persino difficile da immaginare e degna delle peggiori pellicole dell’orrore. Ripercorrendo la vicenda di questo martire – la cui storia la nostra rivista approfondiva già 20 anni fa (qui per abbonarsi) -, non ci si può fermare però alla crudeltà dei suoi carnefici. Molto meglio, infatti, soffermarsi sulla luce, vale a dire sulla grande fede di Rivi. Che, ben consapevole dei rischi che correva solo nel vestire l’abito talare (viveva fra Bologna, Modena e Reggio Emilia, nel terribile “Triangolo della morte”), non ne voleva sapere di toglierlo. Gli stessi familiari gli intimarono più volte di rinunciare alla sua veste, ottenendo dal giovane una risposta spiazzante: «Ma perché? Che male faccio a portarla? Non ho voglia di togliermela. Io studio da prete e la veste è il segno che io sono di Gesù».
Il coraggio di dirsi «di Gesù», come fece il giovane Rivi – la cui vicenda, per ovvie ragioni politiche, è stata a lungo rimossa – dovrebbe farci riflettere a lungo sulla nostra fede, così spesso vacillante e tiepida. Una fede che, invece, Rivi mantenne fino all’ultimo. Secondo quanto è stato ricostruito, infatti, il giovane seminarista con la talare pregò il Padre nostro anche davanti al suo plotone d’esecuzione. E fu proprio sul finire delle ultime parole della preghiera, che il commissario politico del gruppo di partigiani gli sparò due colpi di pistola. Il fatto è che oggi, 78 anni dopo, nessuno conosce i nomi di coloro che lo assassinarono tanto brutalmente, mentre quello di Rolando Rivi risplende come quello di un grandioso testimone della verità e della fede. Tutto ciò non è un caso perché, come ha insegnato un altro grande testimone – padre Massimiliano Kolbe -, «solo l’amore crea».
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