Venerdì 05 Dicembre 2025

«Suicidio assistito in Toscana? È cultura dello scarto. Sì alla vita fino alla fine»

Intervista esclusiva al consigliere regionale Giovanni Galli. Che la settimana prossima, in Aula, darà battaglia

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L’11 febbraio prossimo approderà nell’aula del Consiglio Regionale della Toscana la proposta di legge di iniziativa popolare “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi della sentenza n. 242/19 della Corte costituzionale” promossa dalla Fondazione Luca Coscioni. Giovanni Galli, consigliere regionale della Lega e membro della Terza commissione, è uscito nei giorni scorsi con un comunicato stampa dai toni molto netti, nel quale ha messo in evidenza come quella promossa dalla Fondazione Luca Coscioni e sposata in maniera quasi unanime dal PD sia in realtà una mera battaglia ideologica libertaria, denunciando il rischio di trasformare la Toscana in una terra senza Dio. Lo abbiamo incontrato per porgergli alcune domande di approfondimento sull’iter della proposta di legge e capire cosa c’è veramente in gioco. Giovanni Galli, a che punto siamo della battaglia? Si conferma la data dell’11 per la votazione in aula? «Abbiamo la sensazione che il Partito Democratico abbia tutta la volontà di portarla proprio al dibattito in quella data. Adesso dobbiamo vedere cosa succederà, anche perché. qualcuno pone il tema dell'incostituzionalità. Ci sono diverse posizioni e dobbiamo capire quello che emergerà perché si tratta di un iter piuttosto complesso. Trattandosi di una legge di iniziativa popolare, la proposta va in votazione così come è stata presentata. A questo punto la parola passerà al Consiglio. C’è chi la considera positiva e chi è contrario. Vedremo poi, durante la discussione, gli emendamenti che saranno presentati. Comunque, per l’orientamento generale bisognerebbe sentire soprattutto la maggioranza. Noi del centrodestra cercheremo in tutti i modi di far valere le nostre ragioni, i nostri punti di vista e le nostre sensibilità». Il centrosinistra, da quanto emerso in questi giorni dai giornali sembra molto compatto, potrebbe per esserci tra loro qualche posizione dissonante che potrebbe essere aiutata dalla scelta di voto segreto?  «So che è stata avanzata una richiesta in tal senso, ma non penso che venga accetta. Personalmente mi auguro che sia così, perché ritengo che sia giusto che le persone che ti hanno votato e che fra otto mesi saranno chiamate a farlo di nuovo, sappiano il profilo di ogni candidato, cosa egli pensa su una materia di questo tipo. E poi, essendo il voto preceduto dagli interventi dei consiglieri di fatto si conoscerà già la loro posizione». Lei è membro della Commissione Sanità che ha lavorato fino a questo momento; che posizioni sono emerse in quel contesto. «Il PD che oltre alla presidenza ha la maggioranza ha votato unito. Noi della Lega ci siamo astenuti perché, lasciando il nostro partito libertà di coscienza, non potevamo vincolare con il nostro voto la sensibilità personale dei colleghi; poi in Consiglio ognuno si esprimerà. Non partecipare alla votazione in Commissione, però, avrebbe significato far passare la proposta all’unanimità». Nel suo comunicato stampa ha definito questa battaglia ideologica identitaria. Cos’è che non torna?  «Il tentativo di fare una legge su una valutazione riduttiva di un problema così delicato che investe la totalità della persona. Guardando l’uomo ci accorgiamo che, soprattutto in certi frangenti della sua vita, emerge tutta la sua complessità: c’è un problema di sensibilità, intesa anche come spiritualità, di ragione, di diritto. Questi sono gli elementi alla base del tema che siamo chiamati a valutare. Se uno di questi elementi prevale sull’altro, se prevale, ad esempio, solo il sentimento o solo la ragione, il discorso salta, perché nella nostra persona sono presenti tutti questi aspetti». Chi fa appello a questa legge lo fa sostenendo che esiste un vuoto normativo. Ciò corrisponde a verità? «Anche io ritengo che su questo occorra arrivare ad una legge. Il problema, però, ed è un ulteriore motivo per cui la proposta così impostata non è condivisibile, è che siamo davanti ad una materia di competenza del Parlamento nazionale e non regionale. Non può esserci diversità su questo tema tra una regione e l’altra. Oltretutto, poniamo che una regione deliberi in un modo e poi il Parlamento in un senso contrario. Mi sembra che il problema sia evidente». Su questa vicenda anche i vescovi toscani sono intervenuti richiamando alla sacralità della vita in tutte le sue forme e al fatto che la storia della Toscana è la storia di un popolo in cui è nata l’accoglienza della sofferenza, pensiamo agli ospedali, alle Misericordie. Allo stesso tempo lei nel comunicato ha scritto che il rischio è che la Toscana diventi una terra senza Dio. Qualcuno potrebbe pensare che si sia confuso il campo politico con quello religioso e viceversa, con reciproche e indebite intromissioni. Perché non è così?  «Quanto ho scritto nel comunicato si riferisce a Dio inteso non solo come Dio cristiano, ma come richiamo alla spiritualità; quindi, intendevo rivolgermi a chiunque vive una dimensione spirituale al di là del proprio credo. Poi penso che la nostra sia una comunità culturalmente cattolica ed anche per questo ritengo che la nota della Conferenza Episcopale Toscana non sia un’intrusione, ma al contrario un pronunciamento doveroso, un messaggio che richiama alla tradizione e ai valori del nostro popolo. E anche quanto richiamato non può non essere tenuto in considerazione nelle valutazioni che verranno fatte. Come richiama più volte Papa Francesco, c’è il rischio di vivere secondo la cultura dello scarto. Io invece mi voglio trovare nella posizione di poter accompagnare una persona con dignità fino all’ultimo istante della sua vita». Resta il fatto che l’11 febbraio è vicino. Cosa succederà? «Al momento non si sa nemmeno se la cosa riuscirà ad andare al voto o se alla fine verrà ritirata. In un'intervista, Ceccarelli, capogruppo del PD, di fronte alla dichiarazione dei Vescovi ha detto che come partito li vorranno incontrare. Quando? Dopo aver approvato la legge? Vogliono convincere anche i vescovi?». In conclusione, anche nel caso in cui alla fine dovesse tutto finire in un nulla di fatto e un domani si giungesse a una legge nazionale, sarebbe forse opportuno chiarire come la Corte costituzionale abbia escluso ogni obbligo del Sistema Sanitario Nazionale - mentre l’eventuale introduzione dell’obbligo per gli ospedali finirebbe per trasmettere ai malati il messaggio che la loro vita ultimamente non ha valore, assecondando la cultura dello scarto. In cosa, invece, sin da subito occorre investire in maniera urgente, se ancora non è stato fatto, per affrontare un problema che, inutile negarlo, si pone in modo sempre più sensibile?  «C’è, secondo me, bisogno di una legge nazionale di riferimento comune. Poi anche a livello regionale dovremo esaminare bene il nuovo piano sanitario che è stato presentato e che con tutta probabilità dovremo approvare prima della fine della legislatura. Quello di cui c’è maggiore bisogno è di investire con coraggio negli hospice, nell’aumentare i posti letto, nel potenziare le cure palliative che permettono, già adesso, di accompagnare con piena dignità fino al limite della vita le persone che si trovano in un momento di sofferenza così delicato. È urgente fare tutto il possibile. Le strade ci sono. Lo dico pensando anche all’aiuto che può essere dato ai medici che quotidianamente fanno i conti con queste situazioni; mi riferisco non solo ai medici obiettori, ma a tutto il personale sanitario, così come ai familiari delle persone malate, che vivono inevitabilmente una pressione e un conflitto molto forti. Dobbiamo fare di tutto per permettere di vivere con dignità fino alla fine, dare la morte, no». (Foto Imagoeconomica)

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