CRONACA E SLOGAN
CRONACA E SLOGAN
Femminicidi, qualcuno dice che “il re è nudo”.
La mamma di Sara Campanella, uccisa in Sicilia, incrina la narrativa dominante secondo cui la colpa è del patriarcato e del maschio tossico. E mette sul tavolo la banalità del male.
10 Dicembre 2025 - 00:05
Foto Ai
Lo definisce un femminicidio “atipico”. Ma forse è proprio questa etichetta a essere fuorviante, perché costringe ancora una volta i fatti dentro uno schema rigido che sempre più spesso non regge alla prova della realtà. Sara Campanella ha 22 anni. Studia a Messina, dove frequenta la Triennale di Laboratorio Biomedico. È originaria di Misilmeri, nel Palermitano, dove vive con la madre e dove torna appena può. Il 31 marzo 2025 viene uccisa a coltellate. Poche ore dopo i carabinieri fermano un suo compagno di corso, Stefano Argentino, che confessa il delitto.
I media raccontano subito una storia già pronta, peconfezionata: Argentino sarebbe l’ex fidanzato, non avrebbe accettato la fine della relazione, la perseguitava da tempo con infiniti messaggi e stalking. Spunta persino un vocale in cui Sara confida a un’amica: «Sono sicura che mi sta seguendo». E in effetti la seguiva. Di lì a poco l’avrebbe uccisa. L’omicidio viene immediatamente incasellato come femminicidio e nei titoli esplode la solita retorica: patriarcato, maschio tossico, violenza di genere, rieducazione degli uomini.
Ma adesso la madre rimette in ordine i fatti. Parla la realtà, non gli slogan. Davanti a un convegno all’Assemblea regionale siciliana, Maria Concetta Zaccaria ribalta la narrazione: «Sono state scritte cose non vere nei giornali. Mia figlia non era vessata, ha ricevuto solo quattro messaggi in due anni». Quattro messaggi in due anni. Nessuno stalking, dunque. E soprattutto Argentino non era il suo ex. Non era nessuno, se non un compagno di corso. «Era un nulla per lei», dice la madre. Poi l’affondo decisivo: «Se le ragazze aspettano segnali premonitori, si sbagliano. E sbagliamo anche noi adulti. Esistono uomini inutili che nel silenzio progettano anche la morte». E aggiunge un dettaglio: Argentino intratteneva un rapporto malato con la madre, che avrebbe trasformato Sara in un bersaglio.
La stessa madre del reo confesso ha ammesso pubblicamente le fragilità psicologiche del figlio. Racconta di un messaggio ricevuto con scritto: «Buonanotte mamma, vediamo se riesco a dormire… ho in mente che Sara mi ha detto ti amo due volte». Ma quelle parole, nella realtà, non risultano mai essere esistite. Una percezione distorta della realtà, un’illusione scambiata per relazione. La donna dice di averlo invitato a lasciar perdere, a concentrarsi sugli studi. Ma di essere rimasta inascoltata. Sara viene uccisa. E poco dopo l’omicidio, in carcere, Stefano si toglie anche la sua stessa vita. Incapace di reggere un tormento che come un macigno appoggiava su altri tormenti.
Eppure di tutto questo si parla pochissimo. La patologia psichiatrica non sale mai sul banco degli imputati quando muore una donna. Così come non vengono quasi mai chiamati in causa l’abuso di sostanze, l’alcool, la pornografia, i deliri, le fragilità, la solitudine, le ossessioni. Non si parla di moventi economici, ereditari, di truffe, di criminalità.
Non si accetta l’idea che il male possa arrivare di notte come un ladro e che, spesso, sia tremendamente banale. Meno che meno si accetta che l'uomo sia ferito dal peccato originale. Lo schema deve reggere a tutti i costi. E se non regge, si forza la realtà. Così l’unico colpevole resta sempre il patriarcato. Che, paradossalmente, diventa il modo più comodo per non guardare in faccia nessun altro problema. E per continuare, puntualmente, a piangere nuove vittime.









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